Una bottiglia vola al rallentatore verso l'auto delle forze dell'ordine. E' la prima scena di Diaz, il film di Daniele Vicari dal 13 aprile nelle sale italiane. Già dalla sequenza iniziale si può intuire l'impostazione dell'opera sul massacro della Diaz, l'irruzione della polizia nella scuola di Genova durante il G8 (21 luglio 2001) con 61 manifestanti feriti e 125 poliziotti sotto accusa. "Una macelleria messicana", secondo la celebre definizione del vice questore Fournier, oppure "la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale", come recita la frase di Amnesty sulla locandina.

Il tono del regista è quello della ricostruzione: non vediamo un atto d'accusa contro gli agenti né un'esaltazione acritica degli attivisti del Genoa Social Forum, ma semplicemente un racconto. La pellicola ricostruisce il clima nella città, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani: mentre in televisione scorrono le immagini dei "potenti" della terra e i loro inutili riti (erano gli anni di Berlusconi e Bush), noi seguiamo una serie di storie comuni apparentemente slegate tra loro. Ci sono gli attivisti del movimento giunti dall'estero, gli addetti all'organizzazione, il giornalista che vuole raccontare la protesta, l'anziano iscritto allo Spi Cgil casualmente coinvolto negli scontri.

Esistono manifestanti violenti e il film non ne fa mistero, come dimostra la scena del ragazzo di colore che brucia una macchina sfidando gli agenti. Ma ci sono anche i poliziotti, comandati da un'eminenza grigia che arriva a Genova nei giorni del G8 e - senza mai dirlo - ricorda da vicino alcuni esponenti di quel governo. Tra i volti in divisa spicca la figura interpretata da Claudio Santamaria, poliziotto contrario alla violenza, a conferma che Diaz offre una storia a più facce, una situazione complessa e sfaccettata che non si ferma alla divisione tra buoni e cattivi. Tutti questi personaggi si incontrano la notte del 21 luglio alla Diaz.

Ricostruendo i dialoghi sulla base delle carte processuali, Daniele Vicari utilizza la tecnica dell'altalena narrativa: si va avanti e indietro nel tempo, vengono mostrati i presupposti e l'irruzione, poi in flashback scopriamo come si è arrivati a quel punto e quindi gli eventi successivi (le torture nella caserma di Bolzaneto, la versione della polizia). In mezzo il massacro: una lunga e spiazzante sequenza di 10 minuti, gli agenti entrano nella scuola e colpiscono i manifestanti inermi, giovani o anziani, anche ragazzi che si arrendono con le mani alzate.

Nella rievocazione di quei momenti la violenza è inspiegabile quindi non viene spiegata, è semplicemente mostrata. Non c'è retorica né parole di troppo: guardate cosa è successo - sembra dire il regista -, non serve aggiungere altro. D'altronde ciò che vediamo è già una spiegazione. Poi la trama continua con il giorno dopo, dalla realizzazione dei fatti della Diaz all'improbabile conferenza stampa della polizia, fino a seguire il destino dei personaggi, sia i manifestanti arrestati che i poliziotti.

E' un racconto duro e compatto di due ore, una lezione civile che non rinuncia alla costruzione narrativa e alla composizione dell'immagine. E soprattutto un film politico che non parla di politica: la violazione dei diritti, la repressione autoritaria, il tentativo di distruggere il movimento non viene sottolineato o commentato, ma resta scritto nei fatti. Il dolore negli occhi dei manifestanti, il vuoto e l'incapacità di capire sono il cuore del film.

Alla fine la didascalia ci informa che dieci anni dopo i processi sono incompiuti, i colpevoli ancora liberi. Ognuno può giudicare. Rimane impresso il dialogo tra l'anziano del sindacato e il giovane attivista, prima del pestaggio: "Alla Diaz c'è posto, ma deve dormire per terra". E lui: "Non c'è problema, in guerra si dormiva per terra". La battuta è un presagio della violenza a venire, ma alla Diaz non ci fu una guerra: fu una "macelleria" unilaterale, come ci mostra Vicari, una macchia nera sulla nostra Storia che non verrà dimenticata.

(Diaz - Italia 2012 - Regia: Daniele Vicari - Durata 120'- Distribuzione Fandango)