Il 12 aprile 1989 si apre a Chianciano la prima Conferenza di programma della Cgil. Bruno Trentin, eletto segretario generale della confederazione da pochi mesi, rompe gli indugi e illustra il suo progetto, avanzando l’ipotesi di una nuova Cgil, sindacato dei diritti, della solidarietà e del programma. Due sono i punti sui quali il segretario insiste maggiormente: il sindacato deve partire nella sua azione non più dalla classe, ma dalla persona che lavora; il sindacato deve farsi portatore dei diritti universali e divenire, con un proprio progetto, uno dei protagonisti principali della società civile organizzata.

Affrontando già nella relazione introduttiva quelli che ritiene essere i nodi irrisolti della politica sindacale (il rapporto tra sviluppo e natura e ambiente, la politica dei redditi e il debito pubblico, la democratizzazione dell’economia e delle imprese), Trentin afferma in apertura dei lavori: “Siamo consapevoli del momento particolare in cui si tiene questa Conferenza – dice –, della sua coincidenza con una fase di grande impegno di tutta la Cgil e del movimento sindacale per contrastare con efficacia il tentativo di rivalsa del governo nei confronti dei primi risultati della nostra lotta per la riforma fiscale e per rovesciare la logica punitiva e classista che ispira le prime misure adottate nei confronti dell’assistenza sanitaria per la parte più indifesa della popolazione”.

Preoccupa in particolare Trentin la dimensione dello scontro che si profila su questioni fondamentali, a cominciare dal ruolo della contrattazione, la riforma della pubblica amministrazione e quella dello Stato sociale. “La ricerca delle forme più efficaci di mobilitazione e di tenuta della pressione dei lavoratori intorno a piattaforme riformatrici – continua – non può che determinare, in una situazione come questa, un dibattito e anche la contrapposizione feconda di soluzioni alternative, fra la Cgil e le altre confederazioni e all'interno della stessa Cgil. È naturale e necessario che ciò avvenga. I prossimi giorni e le prossime settimane ci vedranno quindi coinvolti senza riserva in un grande sforzo di elaborazione, di confronto politico, ma anche di mobilitazione e di iniziative sindacali, alle quali dovremo dedicare tutte le nostre energie”.

Proprio questa consapevolezza e la collegialità di questo impegno, “al di là delle opinioni diverse che possono esserci sulle tattiche più efficaci da adottare”, inducono il leader di corso d’Italia a proporre “a questa Conferenza di mantenere rigorosamente l’obiettivo che da tempo la Cgil si è proposto: avviare una fase nuova di elaborazione e di definizione del Programma fondamentale della Cgil, senza rinviare a tempi migliori una ricerca collettiva che ha già subito troppi ritardi; e trarre un primo bilancio delle molte iniziative che sono state sperimentate, da due anni a questa parte, su alcuni grandi temi di strategia sindacale. Non possiamo permetterci il lusso di lasciare passare questo appuntamento” (LEGGI TUTTO).

La Conferenza di Chianciano avvia un processo di autoriforma che, di fatto, proseguirà con la Conferenza di organizzazione di Firenze del novembre 1989 e con il Congresso di Rimini del 1991, per concludersi nel giugno 1994 con la seconda Conferenza programmatica della confederazione. Sul piano organizzativo, la novità più rilevante è lo scioglimento delle componenti storiche collegate ai partiti di riferimento della sinistra italiana. In questo modo, la dinamica tra maggioranza e opposizione si sarebbe sviluppata all’interno del sindacato non tanto sulla base della vicinanza a un partito o a una coalizione di governo, quanto in virtù della condivisione o meno di un programma di governo dell’organizzazione.

Sul piano rivendicativo, la Cgil accetta di contribuire alla riforma della contrattazione collettiva e di discutere con gli interlocutori pubblici e privati l’introduzione della politica dei redditi attraverso il sistema della concertazione, individuata come il principale strumento per riportare sotto controllo l’esplosione del debito nazionale; entrambi questi temi saranno introdotti con lo storico accordo siglato nel luglio 1993 con il governo Ciampi, evento rivelatosi presto decisivo per il risanamento dei conti pubblici e per l’ingresso dell’Italia nell’Unione europea.

La seconda Conferenza programmatica della Cgil si tiene, sempre a Chianciano, dal 2 al 4 giugno 1994. Trentin lascia la guida della confederazione, “quella Cgil che conosco bene – afferma – e di cui lascio la direzione con un sentimento di infinita riconoscenza …; un sindacato di donne e di uomini che si interroga sempre sulle proprie scelte e anche sui propri errori, che cerca di apprendere dagli altri per trovare tutte le energie che gli consentano di decidere, di agire, ma anche di continuare a rinnovarsi, di dimostrare con i fatti la sua capacità di cambiare e di aprirsi a tutte le esperienze vitali e a tutti i fenomeni di democrazia che covano ora e che covano sempre nel mondo dei lavoratori” (LEGGI TUTTO).

Il Comitato direttivo del 29 giugno ratifica la decisione annunciata, eleggendo Sergio Cofferati nuovo segretario della confederazione. Sarà però sotto la guida di Guglielmo Epifani che nel luglio 2009 si terrà, ancora una volta a Chianciano, la terza Conferenza di programma della Cgil: “Sono trascorsi vent’anni dalla Conferenza di programma di Chianciano – ricorda il segretario generale in apertura dei lavori –. In quella circostanza la Cgil si interrogava sull’avvio della fase neoliberista e sui primi passi della globalizzazione, nonché sui limiti di sostenibilità del modello di sviluppo che andavano emergendo sempre più chiaramente. Erano gli anni segnati dalla fine della fase economica e sociale caratterizzata da un’organizzazione del lavoro di stampo fordista-taylorista; e dall’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Lì decidemmo quella svolta che ci portò all’idea del ‘sindacato dei diritti’, una Cgil che puntava alla libertà ‘nel lavoro’ e non ‘dal lavoro’ e capace di misurarsi in modo innovativo con le profonde trasformazioni del mondo del lavoro, senza rinchiudersi in una riserva indiana”.

“Bruno Trentin – prosegue Epifani – indicava come base fondamentale di quel programma generale che trova origine nelle idee di Di Vittorio l’assunzione di una nuova tensione progettuale del sindacato, volta a ricollegare occupazione e qualità della prestazione, a saldare occupazione, potere e governo delle conoscenze. … La svolta ‘culturale’ operata dalla Cgil consisteva nel mettere al centro la persona, come titolare di diritti e di doveri, nel configurare così una nuova idea di cittadinanza, intesa come un processo aperto e universalistico di inclusione sociale e di piena valorizzazione dell’autonomia di scelta, nel lavoro e nella società, del proprio progetto di vita. Ciò significava per il sindacato allargare il proprio campo di azione, per investire tutti i diversi aspetti della condizione sociale, vedendo quindi il lavoro non in modo isolato, ma in tutti i suoi intrecci con l’organizzazione della società”.

La cittadinanza, dunque, come terreno di una nuova strategia sindacale: “Eguaglianza dei diritti, autonomia della persona, costruzione di una rete concreta di solidarietà, pieno riconoscimento del pluralismo e delle diversità – scandisce Epifani –. Eguaglianza come eguale diritto a un’autonoma progettazione della propria identità personale. È la scelta che ci ha accompagnato negli anni novanta, mentre cambiava impetuosamente il Paese, stretto tra la fine della prima Repubblica e le drammaticità della condizione economica e finanziaria, e che ci ha portato anno dopo anno, trasformazione dopo trasformazione, ai giorni nostri, in una società dove la modernità ha significato contrapporre i consumatori ai produttori, i giovani agli anziani, l’individuo agli interessi generali. In un quadro dove l’economia globale trasformava il suo volto e l’equilibrio capitale-lavoro si alterava spesso a favore della rendita, generando così quelle disuguaglianze all’origine della crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando” (LEGGI TUTTO).

Proprio il lavoro è al centro dell’intervento di apertura di Susanna Camusso alla quarta e a oggi ultima Conferenza di programma della confederazione, che si tiene a Roma il 25 e 26 gennaio 2013, appuntamento nel quale il sindacato, neanche a dirlo, presenta il nuovo piano per l’impiego: “Parlare del lavoro è parlare delle persone, del loro essere – affermava ormai quattro anni fa il segretario generale della Cgil –. Per noi lavoratrici e lavoratori, pensionati e sindacalisti, militanti e iscritti al sindacato, alla Cgil, parlare di lavoro è parlare del pane. Il lavoro è stato per noi e deve restare l’ingresso nella vita adulta, nella vita autonoma, nel piacere del realizzare i propri progetti e i propri sogni. Per questo il lavoro non può essere povero, figlio del massimo ribasso, incerto. Non può essere precario. Il lavoro è condizione concreta di orario, professionalità, salario, è diritti e doveri. È dignità. Il lavoro non può essere nero, sommerso, schiavizzato, mercificato. Il lavoro è sapere e conoscenza, qualità e investimento. Per questo la precarietà va combattuta, in quanto nega saperi, certezze, valore. Il lavoro può essere anche la frustrazione, la preoccupazione e l’angoscia di perderlo; la rabbia di non trovarlo. Può trasformarsi da libertà a prigionia se invece del collocamento si incontra un caporale. Il lavoro può trasformarsi da diritti e doveri a imposizione autoritaria quando viene negata la contrattazione, la libertà e la democrazia sindacale. Il lavoro è la trasformazione, non solo della materia, ma della società, del collettivo, delle relazioni. Il lavoro è conflitto positivo, necessario perché presuppone interrelazione; modifica e trasforma, fa progredire. Il lavoro è l’unica vera condizione per creare ricchezza, in ogni Paese e nel mondo. Il lavoro è sapere di avere un proprio ruolo”.

Per tutti questi motivi, e per converso, l’assenza di lavoro produce “un vuoto, corrode, cancella la dignità”. “L’assenza di lavoro, la disoccupazione, la rinuncia a cercare lavoro perché non c’è – continuava Susanna Camusso –, condannano un Paese al degrado e al declino. Siamo qui, quindi, per parlare di lavoro, perché pensiamo che il lavoro è la condizione per uscire dalla crisi. Per essere più precisi, creare e difendere lavoro è l’unica premessa credibile di una proposta per uscire dalla crisi. Dobbiamo partire dal lavoro per affrontare il tema delle nuove e grandi diseguaglianze, che sono l’altra faccia della crisi. E da lì dobbiamo partire per ricostruire l’unità di un mondo del lavoro diviso e frantumato, un’unità come antidoto della molteplicità degli egoismi sociali che caratterizzano quest’epoca liberista, frammentata e priva di futuro” (LEGGI TUTTO).

Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale