Il Rapporto dell’Osservatorio della Fondazione di Vittorio e della Fillea Cgil, curato da Gianluca De Angelis, con il coordinamento di Serena Rugiero e Daniele Di Nunzio, è costituito dall’analisi di due serie di dati. La prima è relativa ai quelli Istat della Rilevazione continua delle forze di lavoro; la seconda a quelli dei bilanci raccolti dal Bureau Van Dijk nell’Analisi informatizzata delle aziende italiane.

I lavoratori o ex-lavoratori dell’edilizia sono, nel 2015, 2 milioni 134 mila persone, il 4,1 per cento della popolazione con più 15 anni. Si tratta di 147 mila individui in meno del 2014 (la compressione del comparto ha riguardato soprattutto le regioni meridionali). Nel 2015 gli occupati nei segmenti delle costruzioni rappresentano il 6,1 per cento del mercato del lavoro italiano (erano il 6,5 nel 2014). Rispetto agli altri comparti, quello delle costruzioni si caratterizza per una maggiore presenza di lavoratori autonomi, anche se, laddove si rileva un rapporto di subordinazione, tale rapporto lavorativo appare improntato a una maggiore stabilità che altrove. Tra i dipendenti, infatti, sono più significativi che nel resto del mercato del lavoro quelli a tempo indeterminato. Il comparto si caratterizza per una maggiore presenza di lavoratori stranieri, anche se l’incidenza dei lavoratori stranieri varia nei diversi segmenti.

Rispetto a quanto avviene nel mercato del lavoro italiano, dove la gran parte degli occupati svolge professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (20,1 per cento), professioni tecniche (18,2) e intellettuali o scientifiche (14,8), nel settore delle costruzioni le qualifiche sono mediamente più basse e si concentrano nella sola categoria degli artigiani, operai e agricoltori (62 per cento). Tale concentrazione è data soprattutto dal peso dell’edilizia, il segmento più significativo, dove artigiani, operai e agricoltori sono il 65,3.

Tra il 2014 e il 2015 cresce la media dei salari percepiti nelle costruzioni, ma aumenta anche la sperequazione interna al comparto, soprattutto quella relativa al segmento edile. Varia negativamente la retribuzione media per i segmenti dei laterizi, cemento e studi professionali. La variazione positiva del comparto è data soprattutto dalla crescita dei salari rilevati per i dipendenti nel segmento dell’edilizia, dove, però, pesa la mancata rilevazione (40 per cento). Osservando più nel dettaglio la dinamica del segmento, emerge come anche al netto della compressione occupazionale, tra il 2014 e il 2015 siano aumentati i lavoratori che percepiscono un reddito relativamente più basso, ricompreso nei quartili di ciascun anno (+90 per cento).

Sull’intera platea degli occupati, variano positivamente nell’edilizia più che altrove le ore lavorate (+0,8 per cento) a fronte del (+0,2). Nel comparto si lavorano più ore che altrove. Tra il 2014 e il 2015 le ore lavorate variano negativamente solo nel segmento lapideo. Nel comparto diminuiscono le denunce di malattie professionali e di infortuni sul lavoro, esistono comunque differenziazioni in base ai diversi segmenti merceologici/occupazionali. Infatti, mentre gli infortuni denunciati diminuiscono complessivamente, nel caso delle denunce di malattia professionale si rileva un incremento nel periodo 2011-2015 relativa ai soli lavoratori edili. Per questi, inoltre, pur diminuendo gli infortuni, aumentano nel 2015 sul 2014 quelli mortali (+10,4 per cento). Nel complesso, comunque, gli infortuni con esiti mortali diminuiscono, tra il 2011 e il 2015, più che nel resto della manifattura.

Dai bilanci delle imprese si conferma la forte frammentazione del settore, con particolare riferimento al segmento edile. La frammentazione non riguarda solo le ridotte dimensioni medie di impresa, ma caratterizza le principali voci economiche rilevate dai bilanci. Il ricavo medio per le imprese edili, infatti, è di 1.506 migliaia di euro, mentre è di 3.308 e 3.204 per le imprese produttrici di laterizi e legno per l’edilizia, ma arriva anche ai 18.635 migliaia di euro per quelle attive nella produzione di cemento. Analogamente, anche il valore della produzione, così come il valore aggiunto, una volta riproporzionati al numero di imprese coinvolte, indicano il minimo del comparto proprio per il segmento edile (1.552 migliaia di euro e 375 mila euro) e il massimo per le imprese produttrici di cemento (20.584 migliaia di euro e 5.842 migliaia di euro).

Analizzando i costi dei fattori produttivi si evidenzia come ai singoli segmenti corrisponda una peculiare composizione dei fattori di produzione. Nel complesso, il costo del fattore “lavoro” è stabile per tutti i segmenti e va dal 17,2 per cento della produzione di legno al 18,5 di quella di cemento. Le spese che caratterizzano i segmenti sono quelle in materie prime e quella in servizi. Per le imprese edili tale aggregato incide per il 45 per cento, mentre, a diminuire, corrisponde al 26,5 nella produzione di cemento, al 24,8 nella produzione di laterizi e al 23,8 in quella di legno. Per quanto riguarda l’edilizia, in particolare, la quota più rilevante relativa alla spesa in servizi indica la forte propensione all’esternalizzazione.

Vista la specificità del segmento edile, si è osservato come il valore aggiunto misurato sui dipendenti producesse una lettura distorta della capacità delle imprese di valorizzare i fattori produttivi. Per questo si è optato per una misurazione della produttività che desse conto della totalità di tali fattori (valore aggiunto sui costi di produzione). Utilizzando questo indicatore, si rileva una maggiore capacità di valorizzazione delle imprese edili, che però si affianca a un minore costo del fattore lavoro. Infatti, nel comparto edile il costo del lavoro è mediamente inferiore a quello degli altri segmenti: le mediane delle distribuzioni dei costi per redditi e salari sono pari a 16 mila euro per l’edilizia, 18,8 mila nel legno, 20,5 mila per la produzione di laterizi e di 25,4 mila euro nel caso cementifero.

L’affermazione relativa all’edilizia è valida anche tenendo conto della maggiore incidenza del costo del lavoro non immediatamente salariale, più elevato negli altri segmenti. Nel caso del cemento, infatti, le voci relative al Tfr, agli oneri sociali e ai trattamenti di quiescenza hanno una rilevanza maggiore che negli altri segmenti. Al netto di queste voci, il costo dei salari e delle retribuzioni per le imprese del cemento rappresenta il 67,4 per cento dei costi complessivi per il personale, mentre arriva al 71 nel caso del legno, passando per il 69,1 e 69,7 nel caso di edilizia e laterizi.

Per quanto riguarda la propensione agli investimenti, nel comparto prevalgono le immobilizzazioni di tipo materiale. Nel segmento edile le immobilizzazioni sono inferiori che negli altri segmenti. Infatti, nel caso del cemento la quota di immobilizzazioni finanziarie è più significativa (62 per cento) e risultano inferiori quelle relative alle immobilizzazioni immateriali (1,9) e materiali (35). La composizione delle immobilizzazioni nelle imprese edili è intermedia tra i due gruppi ed è costituita dal 6 per cento di immobilizzazioni immateriali, 62 materiali e 31,5 finanziarie.

Dalla lettura complessiva, si fa strada l’ipotesi relativa a una qualche polarizzazione delle imprese che pone, da un lato, quelle maggiormente capaci di valorizzare i fattori produttivi e nelle quali il costo salariale del lavoro è mediamente più elevato e, dall’altro, quelle con un più basso valore aggiunto per costi di produzione e più basso costo medio dei salari e delle retribuzioni. Tale ipotesi è rafforzata dal fatto che al primo gruppo sono ascrivibili livelli di investimento a lungo termine maggiori che al secondo.