Pubblichiamo la lettera del segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, inviata al Wall Street Journal in risposta all’editoriale “Italy’s Economic Suicide Movement” del 27 ottobre 2014.

Dopo aver letto l’editoriale del giorno 27 ottobre 2014, riteniamo opportuno chiarire alcune questioni.

Dinnanzi a questa nuova “grande crisi” globale, i paesi industrializzati che hanno dato priorità a occupazione e investimenti sono usciti dalla crisi e hanno ricominciato a crescere. In Italia ed in Europa si continua con la politica dell’austerità che, tra tagli lineari e aumenti iniqui delle tasse, così come riforme del mercato del lavoro e deflazione salariale, non crea lavoro, impoverisce il Paese e allontana la ripresa. Non funziona. Purtroppo, la politica economica e sociale del Governo Renzi, contrariamente a quanto è accaduto negli Stati Uniti dove la politica economica espansiva del Presidente Obama ha creato sviluppo e occupazione, resta in quel solco di politiche senza successo e continua a difendere l’alleanza fra profitti e rendite a scapito del lavoro e della crescita. Il Governo italiano, ancora una volta, ha scelto di tentare di recuperare competitività riducendo i costi e i diritti del lavoro; ha scelto di non contrastare l’austerità; ha scelto di non scomporre gli interessi costituiti (evasione, corruzione, illegalità, eccessiva concentrazione della ricchezza, ecc.).

In Italia, più di altri paesi europei, è necessario un rinnovato intervento pubblico per recuperare il terreno perduto nell’innovazione, nell’istruzione, nella ricerca, nella qualità, anche dell’occupazione. Non è certo deregolando il mercato del lavoro che l’Italia può riscoprire un sentiero di crescita della produttività e dell’occupazione. È ormai vasta la letteratura economica sul tema, almeno tanto quanto restano carenti di evidenza empirica le tesi liberiste sull’argomento. Il sistema finanziario, economico e produttivo del Paese hanno bisogno di regole certe e di una macchina amministrativa efficiente. Interventi che il Governo italiano non ha realizzato, concentrandosi sulla compressione della spesa pubblica e sulla riduzione delle tasse sul lavoro, soprattutto a vantaggio delle imprese, perseguendo un modello di competizione che la CGIL ritiene perdente, come è avvenuto negli ultimi 20 anni.  

Nella piazza di Roma non c’era una mera rivendicazione salariale o – come avete erroneamente scritto nell’editoriale – una richiesta di tutela individuale una volta perduto il lavoro. Il Governo italiano ha “programmato” un tasso di disoccupazione pari all’11,2% nel 2018 (oggi è 12,6% e prima della crisi era 6,5%). Senza lavoro non si esce dalla crisi. Dalla voce della nostra gente emerge innanzitutto la richiesta di creare lavoro, soprattutto per i giovani e le donne.

La CGIL con la manifestazione del 25 Ottobre ha voluto portate in piazza alcune proposte:

•    un piano straordinario per l’occupazione finanziato da uno sposta¬mento della tassazione sulle grandi ricchezze (non da tagli alla spesa pubblica che riducono ulteriormente la domanda effettiva);
•    una riforma per ammortizzatori sociali universali (non una semplice redistribuzione delle risorse, per dare meno a tutti);
•    una riforma della legge fondamentale di regolazione dei rapporti di lavoro, lo Statuto dei Lavoratori per estendere diritti e tutele universali a tutti (non un restringimento dei diritti e delle tutele a vantaggio delle imprese, senza alcuna garanzia di investimenti);
•    una nuova tipologia di contratto di lavoro per favorire il lavoro a tempo indeterminato e sicuro, cancellando le tipologie contrattuali precarie che si sono moltiplicate fino a 46 forme di assunzione (che hanno moltiplicato i working poors e reso il mercato del lavoro molto più che “duale”).

Noi crediamo che, con questo mix di politiche economiche e misure legislative, si possano creare le condizioni per una crescita in grado di creare nuova e buona occupazione. L’Italia ha le risorse, le competenze e i talenti per vincere la sfida di una via alta della competitività, valorizzando il capitale umano e il capitale sociale, per ricostruire un futuro migliore.

*segretario confederale Cgil (Area Politiche di sviluppo)