Premette che la manovra si può ancora solo commentare sulle slide del premier Matteo Renzi, ma la legge di Bilancio varata dal governo sabato scorso non piace a Susanna Camusso. Secondo il segretario generale della Cgil, intervistata dal Corriere della Sera, è una legge “in linea con il passato, solo un po' meno austera, e con l'idea che lo sviluppo non dipenda dal governo”. Una legge che continua a distribuire “soldi a pioggia alle imprese” e che “manca di un progetto Paese”. Se ci sono poche risorse, ha sottolineato, “bisogna usarle al meglio e non disperderle. Questa legge invece è la somma di tanti piccoli interventi e manca proprio un piano strategico”.

“È il terzo anno che Renzi dice alle imprese: adesso tocca a voi. Si continua a pensare che dandogli risorse a pioggia si stimoli lo sviluppo. Ma non hanno alcun vincolo”, prosegue la dirigente sindacale. “Senza vincoli, anche una misura giusta come il superammortamento rischia di essere inutile. Gli imprenditori l'hanno usato per rifarsi la macchina, non per investire. Gli investimenti privati negli ultimi due anni sono scesi. Non vorrei che adesso si rifacessero il tablet. Anche la riduzione dell'Ires non necessariamente produce investimenti. Abbiamo la disoccupazione giovanile al 38%, non risolviamo il problema, e quello del Sud, dando soldi a pioggia”.

Sulla previdenza, “a differenza del passato non si sono tolte risorse e si danno alcune risposte ai lavoratori precoci, a chi fa mestieri usuranti, e ai pensionati. Ma non ci piace la scelta di trasformare l'Ape social, che doveva servire per affrontare le difficoltà del lavoro discontinuo”. Problema di risorse o scelta politica? “Entrambe le cose. Forse – osserva Camusso – al ministero dell'Economia c'è ancora l'idea di un sistema previdenziale tarato sulla parte del mercato del lavoro più strutturato. Ma questo sistema si misura ben poco con la realtà del Sud, e in particolare delle donne, costrette alla discontinuità anche dai pregiudizi”.

Quanto ai fondi per il rinnovo dei contratti pubblici, invece “non ci siamo proprio”. E la stabilizzazione dei precari resta un problema: “Settemila tra medici e infermieri, sono molto pochi rispetto alle necessità”. Anche su scuola e università, a suo giudizio, non c'è quel cambio di passo che serviva. “Si sono create moltissime aspettative che rischiano di essere deluse. E ciò non aiuta a migliorare il clima di fiducia”.

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