L’economia digitale in Europa va verso un modello di crowdworking. Questo il risultato di una ricerca presentata oggi (14 marzo), a Roma, in occasione dell'apertura della conferenza regionale di Uni Europa, la Federazione europea dei sindacati del settore servizi, “Cambiamo insieme l’Europa”, che proseguirà nei prossimi due giorni (vedi il programma). Centinaia i sindacalisti intervenuti per discutere sul ruolo dei sindacati, sul relativo potere negoziale a fronte dei datori di lavoro e delle istituzioni, e sulla loro capacità di aiutare i lavoratori a svolgere mansioni di qualità, per un’Europa più giusta ed equa.
 
La ricerca, durata un anno e promossa dalla Fondazione europea per gli Studi progressisti, Feps, e da Uni Europa (con il sostegno di numerosi affiliati, tra cui Unionen), analizza come la cosiddetta sharing economy ha cambiato radicalmente il mercato del lavoro nella Ue e nel resto del mondo. Il Regno Unito e la Svezia sono i primi di una serie di Paesi ad aver reso noti i dati del sondaggio. Seguiranno, nei prossimi mesi, Austria, Germania, Spagna, Paesi Bassi e Italia.

Turismo, segnali positivi. Ma servono politiche mirate

"Il rapporto pubblicato – ha affermato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, rivolgendosi a quasi mille dirigenti sindacali – si riferisce alla Svezia, ma i risultati sono rappresentativi per l'intera Europa, compresa l'Italia. La crescente economia detta crowdworking è parte del nuovo mondo del lavoro e ha un potenziale di sviluppo positivo per la società. In questo momento, stiamo vedendo principalmente l’aspetto negativo di un mercato del lavoro quasi completamente non regolamentato, sulla coesione sociale e la crescita sostenibile. È la dimostrazione della necessità di modificare il modello di sviluppo, di lottare per un lavoro davvero dignitoso e di chiedere all'Ue il varo di standard minimi comunitari da applicare in tutti i Paesi europei”.
 
I dati sulla Svezia mostrano che il 12% della popolazione (circa 737mila) sta già lavorando nell’economia digitale basata sulle piattaforme online, mentre il 24% sta cercando di trovare lavoro attraverso le nuove tecnologie. Nel Regno Unito 5 milioni di persone vengono pagate mediante le piattaforme online; di queste, più di 3 milioni sono regolarmente impegnate in varie forme di crowdworking. Gli strumenti informatici offrono diversi tipi di lavoro: da lavori d’ufficio che si possono svolgere da casa ad attività rapide e “click work'', fino a lavori di tipo off-line” nell’ambito della prestazione di servizi di pubblica utilità.
 
L'indagine, nel Regno Unito, ha rivelato che i benefici del crowdworking per i lavoratori sono di gran lunga inferiori agli svantaggi, vale a dire lavoro precario senza coperture sociali, come indennità di malattia, ferie, contributi pensionistici o garanzie di salario minimo. Le pratiche di crowd-sourcing non prevedono alcun pagamento a titolo di imposte sul reddito né versamento di contributi sociali. Ciò potrebbe comportare, in futuro, il rischio di mancati introiti fiscali e previdenziali per gli Stati, quindi una perdita di risorse economiche per la collettività.
 
Ha dichiarato il segretario regionale di Uni Europa, Oliver Roethig: "Il tema della nostra conferenza è cambiare l'Europa insieme. L’Europa sta cambiando, con noi o senza di noi. Invece di aver paura del cambiamento, vi lancio una sfida: quella di essere entusiasti, carichi, e persino euforici. L'Europa sta cambiando, a prescindere. Noi possiamo fare la differenza su come cambiarla”.
 
"Siamo lieti di accogliere i nostri colleghi europei a Roma per discutere dei prossimi traguardi e prendere decisioni ambiziose sul modo in cui vogliamo affrontarle, come movimento sindacale in Europa", ha concluso Mario Petitto, vicepresidente di Uni Europa, ribadendo che “le sfide per i lavoratori da affrontare al giorno d’oggi non si fermano ai confini nazionali” e che “è necessario un lavoro comunitario di squadra per ottenere risultati soddisfacenti”.