Una campagna di informazione e di denuncia fortemente caratterizzata, non solo dalla durata (fino a settembre ndr) ma organizzata in modo da costruire operativamente una mappatura del territorio, dei ghetti ormai famosi alle cronache ma anche della miriade di insediamenti spontanei, dei casolari abbandonati ed occupati da decenni nella provincia di Foggia, così come dei comuni dove la presenza dei lavoratori braccianti è più consistente. È la campagna della Flai nazionale “Ancora in campo”, che ha scelto la Daunia e la provincia di Lecce come territori obiettivo per continuare a tenere alta l’attenzione sullo sfruttamento del lavoro agricolo.

L'obiettivo è spingere le istituzioni ad applicare non solo le norme che attengono a misure repressive della legge 199/2016, che sta dando i suoi frutti, ma anche quella parte della legge che prevede interventi preventivi per offrire opportunità legali e pubbliche circa trasporto e intermediazione di manodopera, due aspetti su cui lucra il caporalato.

In campo materialmente operano le Brigate di lavoro, attivisti e militanti di tutte le regioni italiane che si alternano nei territori e affiancano i dirigenti delle Flai di Foggia e Lecce nel giro delle campagne e dei paesi, per dare informazioni e chiedere il rispetto dei contratti e dei diritti.

“Vogliamo concretizzare alcune buone pratiche e non limitarci alla denuncia – spiega il segretario generale della Flai di Foggia, Daniele Iacovelli -. Dopo anni di impegno e iniziative dobbiamo passare all’incasso, vogliamo parlare ai braccianti ma anche a Prefettura, Regione, tutte le istituzioni locali e anche al Governo: chiediamo assieme alla Flai nazionale che venga attuato il primo nodo territoriale della Rete del Lavoro agricolo di qualità, perché non ha senso solo una cabina di Regia a Roma nelle chiuse stanze dell'Inps, se non si collega col territorio e in esso si cominciano a sperimentare attività che tolgono spazio vitale ai caporali, a partire proprio da trasporto e collocamento”.

Vittime di questi circuiti illegali soprattutto i lavoratori stranieri: sono 23mila i neo comunitari ed extracomunitari iscritti negli elenchi anagrafici Inps in Capitanata, “ma a questi che spesso si vedono registrate giornate inferiori a quelle realmente svolte – afferma il segretario generale della Flai foggiana – vanno sommati quanti vengono assunti completamente in nero, che stimiamo in non meno di 10mila unità”. Si è conclusa la prima settimana di attività, “e abbiamo avuto una media di circa cento contatti al giorno. Molte delle persone con cui abbiamo parlato non conoscono strumenti di sostegno e tutela, come le integrazioni per malattia o infortunio, spesso nemmeno i diritti contrattuali minimi. Verifichiamo con mano che questo lavoro di sindacato di strada è quanto mai importante”.

La fase di contatto non si esaurisce nei campi, “perché molto diffusa è la rete di aziende che utilizzano il contratto agricolo – spiega Iacovelli – come magazzini di confezionamento e trasformazione dei prodotti agricoli. Ma fino ad oggi pochissime imprese hanno voluto aprire un dialogo con il sindacato. Abbiamo costruito una mappa di 250 realtà di media dimensione che proveremo a visitare, cercando di incontrare i lavoratori. Ad oggi, tra le prime venti aziende contattate, solo una ha manifestato disponibilità al dialogo e ci ha consentito di entrare nelle loro attività produttive. Dopo la prima settimana i segnali non sono positivi purtroppo”.

Alla fine del primo mese di iniziative è intenzione della Flai di Foggia “fornire dati e nomi delle aziende che hanno voluto avviare percorso di confronto e chi invece ha scelto di evitare ogni forma di dialogo con il sindacato”. Tra le attività della campagna Flai in Capitanata, “la scelta ogni giovedì di essere presenti nel pomeriggio, a fine giornata lavorativa, in uno dei grandi centri agricoli della provincia. La prossima tappa sarà Cerignola. Vogliamo incontrare i lavoratori, parlare con loro anche di tutele collettive, offrire una verifica contributiva, azioni che metteremo in campo assieme alla Camera del Lavoro e all’Inca. Le dobbiamo provare tutte per abbattere il muro dell’illegalità, spesso costruita proprio sull’assenza di conoscenza dei propri diritti, su un certo lasciar fare da parte delle istituzioni, sul ricatto di un reddito e di un lavoro che in questo territorio è drammatico”.

Assieme, conclude Iacovelli, “c’è anche un muro culturale da buttar giù: quando leggiamo di imprenditori che si indignano perché le nuove norme prevedono bagni chimici nei campi, e la risposta è i bisogni si possono fare all’aria aperta… be’, lì c’è tutto il portato di un settore che per troppo tempo ha vissuto oltre le regole, senza nessuna regola. Va rispettata la persona e la dignità del lavoro. Far capire che in questa battaglia non si è soli e tutti hanno da guadagnarci è il nostro compito”.