La Basilicata è in crisi profonda, stretta nella trappola di nuove e vecchie povertà. Per uscirne, contrastare l’emarginazione
sociale e rilanciare l'economia e il lavoro, servirebbe una visione di sistema che sappia rimettere al centro i “beni comuni” ed i “beni collettivi”. E' quanto pensa la Cgil regionale, che propone un articolato piano di rilancio per istituire un reddito minimo di inserimento: “inserimento nel tessuto sociale, inserimento nel mondo del lavoro, inserimento in una visione di investimenti anticiclici secondo il principio ' produzione di lavoro attraverso il lavoro'”.

La proposta, poi ripresa nel Piano del lavoro
e della coesione sociale di Cgil, Cisl e Uil, è contenuta in un documento diffuso oggi dal sindacato lucano. Il progetto non prevede “un'ottica di mera assistenza ma un vero e proprio 'Servizio Civile di Utilità'. Più che un reddito di cittadinanza, un lavoro utile di cittadinanza.”

Nel breve periodo, secondo il sindacato guidato da Alessandro Genovesi, occorre “affrontare l’emergenza sociale con la proroga dei Copes e con l’introduzione di una prima forma di reddito minimo di inserimento per chi rischia di uscire dalla platea degli ammortizzatori in deroga.” Ma anche “elaborare da subito un portafoglio progetti per i comuni e per le
aree dei nuovi Piani sociali di zona, presso la Regione, e con il sostegno di competenze oggi disponibili nel mondo della cooperazione sociale e delle forze sindacali, ed avviare la discussione sullo strumento generale.”

Nel medio periodo, scrive ancora la Cgil, è invece necessario identificare già “nel Reddito Minimo di Inserimento lo strumento unico nell’accesso e nell’erogazione di benefici per tutti i poveri e i potenziali poveri, facendovi confluire attraverso un 'normativa ponte' gli attuali beneficiari del progetto Copes e degli ammortizzatori in deroga”.

Per questo si devono individuare “i settori di intervento, i meccanismi di rotazione, la domanda dei bisogni tramite una vera Analisi delle Competenze, l’auto rilevazione, l’impiego di una parte degli stessi beneficiari come “rilevatori” dei bisogni”. Serve infine, superare “i limiti e gli insuccessi legati al progetto Copes, in particolare le difficoltà di presa in carico e riattivazione dei soggetti a maggior rischio di esclusione sociale, dovute principalmente alla mancata analisi delle competenze, alla scarsa capacità dei comuni di progettare piani di inserimento lavorativi, all’assenza di stimoli da parte del privato sociale, alla scarsità delle risorse economiche tanto sul lato dei trasferimenti (riduzione della platea) che soprattutto sui piani fattivi di lavori di utilità sociale”.

L’emergenza nella regione, dice il sindacato, è “un crono programma concettuale.” E i dati sulla povertà nella regione gli danno ragione. Nel 2013, il 12,6% delle famiglie è in condizione di povertà relativa (per un totale di 3 milioni 230
mila) e il 7,9% lo è in termini assoluti (2 milioni 28 mila). Le persone in povertà relativa sono il 16,6% della popolazione (10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta il 9,9% (6 milioni 20 mila).

Per la Basilicata, tra l'altro, rientra nella soglia di povertà assoluta chi ha meno di 583 euro mensili per un famiglia composta da un solo componente di età tra i 18 e i 59 anni (se vive a Potenza, Matera, Melfi e altri centri di medie dimensioni; 546 se vive in un piccolo comune), chi ha meno di 1007 euro per una famiglia di due maggiorenni con anziano a carico, chi ha meno di 1226 euro per una famiglia di due genitori e due figli minori. Dati, tra l'altro, peggiori del resto del paese. A fronte di una media nazionale del 12,7% di incidenza di povertà relativa, la Basilicata registra una percentuale pari al 22,9.

Per questo la Cgil ha deciso di intervenire. “Questa nostra proposta, elaborata insieme ad esperti nazionali del settore, - conclude il sindacato - va presa come una possibile linea di intervento, tutta da implementare poi con i nuovi Piani Sociali Integrati, con la discussione più generale sulle Unioni dei Comuni e i Bacini Ottimali di Servizio, con la riforma del welfare locale”. Una proposta, insomma, che serve ad aprire un dibattito quanto mai necessario.