Con lo scontro politico sulla riforma delle Popolari e delle Banche di credito cooperativo, e con la volontà di riformare tutto il settore, emergono linee strategiche che denotano con chiarezza la natura anche ideologica della compagine governativa. Anche se l’input della riforma delle Popolari è partito dalla Banca d’Italia, che ha posto un problema di governance interna e di corretta regolazione di un mercato, quello del credito, che vede all’opera soggetti di natura diversa, in particolare Società per azioni, Spa quotate e Spa non quotate, ma anche cooperative, è evidente che ora la partita si è fatta molto più delicata.

All’iniziale intenzione regolatoria e uniformante si è aggiunta infatti una volontà politica di “normalizzazione” del mercato. Si sostiene cioè che non possono continuare a convivere nello stesso sistema banche Spa e banche cooperative. Un discorso che la maggioranza di governo renziana pare voler estendere e generalizzare. All’orizzonte si vede solo la Società per azioni come unico strumento per fare economia. Le cooperative o le altre forme organizzative di impresa vengono derubricate o, peggio, archiviate in quel passato novecentesco che si vuole rottamare. In questo senso, non è neppure forse un caso che nel decreto sulla riforma delle banche popolari sia stata inizialmente inserita anche la Bcc, la Banca di credito cooperativo, poi stralciata dal resto e ora di nuovo nel mirino dei “riformatori”.

Con questa fretta da decretazione e con l’idea che il governo possa fare sempre tutto da solo perché ha come unico referente i decisori europei, si rischia di fare del male all’economia e di fallire una grande occasione. Perché, come la Cgil ha più volte sostenuto, di riforma del sistema del credito c’è grande bisogno. Così come è molto importante cominciare a correggere le distorsioni più palesi del mondo delle banche popolari e di credito cooperativo, a cominciare ovviamente dalla governance, visto che con la legislazione vigente non si pongono limiti alle poltrone dei vari presidenti, che quindi possono godere di carriere più che ventennali. Anzi, infinite, considerato che nessun regolamento e nessuna legge fissano i limiti della presidenza.

Ma non sono queste le strade giuste. Di più: quella che si è imboccata è una strada che potrebbe peggiorare le cose e bloccare una parte del sistema economico che nel bene o nel male ha permesso in questi anni di crisi la circolazione di risorse finanziarie per l’economia produttiva. Tutto questo mentre il settore del credito entra in fibrillazione nell’intero continente. Alcune delle principali banche dell’area euro dovranno infatti varare altri aumenti di capitale per effetto della riforma normativa che verrà imposta dalla Bce. Almeno questa è la previsione della numero uno dell’autorità di supervisione bancaria Danièle Nouy.

In un’intervista al Financial Times, Nouy ha detto che le banche dovranno rafforzare e migliorare la qualità dei loro livelli patrimoniali nel quadro della riforma volta a uniformare più di 150 norme diverse per ogni singolo paese sulle regole di capitale. Per risolvere definitivamente la questione, secondo l’autorità dell’istituto di Francoforte, Bruxelles dovrà poi adottare una nuova legge in materia.