Un tempo erano fenici e romani, ora tocca a italiani, greci e turchi solcare le acque del Mediterraneo. Il brodo di cultura della civiltà europea è da sempre quello del mare interno che, se un tempo ha aiutato lo sviluppo facilitando scambi e commerci, ora può offrire la soluzione per eliminare il traffico e ridurre l’inquinamento dalle strade, portando sulle sue onde le merci e i tir che riempiono le nostre strade. L’Unione europea da anni sta infatti co-finanziando progetti per lo sviluppo delle autostrade del mare, linee che collegano i porti europei e quelli dei paesi confinanti e ne potenziano gli scambi con la rete stradale e ferroviaria.

“In Italia, tra il 2007 e il 2009, l’incremento del traffico per via marittima rispetto alla strada ha portato a un risparmio di 400 milioni di euro in termini ambientali, per le mancate emissioni di anidride carbonica, e economici, per i minori consumi di carburante ma anche per una ridotta usura dei mezzi. A questi bisogna aggiungere l’aspetto sociale per la diminuzione del traffico e degli incidenti”, lo spiega Tommaso Affinita, amministratore delegato di Rete autostrade mediterranee (Ram), l’azienda controllata dal Tesoro per lo sviluppo di questi progetti.

L’Europa, nelle stime più prudenti dovute alla crisi, prevede che entro il 2020 si registrerà una crescita media del 4,2% all’anno su queste rotte, portano il totale dai 60 milioni di tonnellate del 2009 a 95. In questa crescita reciteranno un ruolo non secondario le realtà emergenti del Mediterraneo come il Nord Africa e la Turchia, che stanno investendo molto nel trasporto marittimo e hanno economie in forte crescita.

Ma in Italia la situazione è delicata: la Ram era infatti la società deputata a erogare l’Ecobonus che copriva fino al 30% della tariffa per chi sceglieva la via marittima. Il contributo è stato erogato solo in Italia fino al 2009 poi la Commissione Ue lo ha sospeso perché considerato aiuto di Stato ed è probabile che non ora non sarà più ripristinato, nonostante le aziende aspettino ancora il rimborso per i viaggi effettuati nel 2010.

“La fine dell’Ecobonus, che ha dato ottimi risultati, rischia di vanificare gli sforzi fatti per portare i veicoli sulle navi, non si può ancora dire come si evolverà il mercato ma c’è il rischio che alcuni operatori tornino sulla gomma”, l’allarme arriva da Giuseppina Della Pepa, segretario generale di Anita, l’associazione delle imprese di autotrasporto. A fronte dei numerosi vantaggi delle vie del mare infatti i porti italiani pagano ancora un gap infrastrutturale e organizzativo che crea dei problemi. Se il primo aspetto, a meno di accordi pubblico-privato, sembra di difficile risoluzione data la situazione delle casse pubbliche, si punta a intervenire sui tempi di attesa: “Rispetto ai porti del Nord Europa – racconta il vice presidente di Anita, Renzo Muratore - nei porti italiani in media si impiega un giorno e mezzo in più per completare le pratiche, è necessario fare lo sportello unico doganale e ridurre alcuni passaggi burocratici per colmare lo svantaggio”. L’obiettivo finale prevede infatti una rete di vie marine quasi automatizzata ma, nonostante si stia lavorando sia a livello nazionale che europeo, siamo ancora lontani.

Anche gli armatori vedono concrete possibilità nel progetto: “Le autostrade del mare – spiega il presidente di Confitarma, Paolo D’Amico - sono sicuramente un importante fattore di sviluppo: in Italia abbiamo assistito ad una crescita costante negli ultimi anni ed oggi contiamo più di 400 partenze settimanali, oltre 90 navi e disponiamo di una fitta rete di collegamenti”. Una flotta che continua a crescere come dimostra il finanziamento di 30 milioni della banca Europea degli investimenti ottenuto dal gruppo Grimaldi per l’acquisto di nuovi cargo.

“Purtroppo le nostre infrastrutture portuali – analizza D’Amico - non sono in linea con l’evoluzione della flotta, ad esempio alcuni porti andrebbero dragati e anche la connessione con le infrastrutture stradali e ferroviarie sono spesso inadeguate: il loro miglioramento potrebbe rappresentare un forte incentivo all’intermodalità, aumentando l’efficienza dell’intero sistema dei trasporti nazionale”.

In questo momento quindi l’Italia si trova a un bivio: dopo la crescita costante dovuta all’ecobonus fino al 2010, con i relativi benefici, ora, per la carenza di infrastrutture e la solita burocrazia, si rischia di assistere al processo inverso quando già circa l’85% delle merci viaggia su gomma. Un vero paradosso se si pensa che il progetto europeo per ridurre il traffico su strada porta il nome del veneziano Marco Polo.