PHOTO
Per la lotta ai cambiamenti climatici la prossima tappa è a novembre. Dal 10 al 21 a Belém, in Brasile, nel cuore della foresta amazzonica, si tiene la Cop30, Conferenza della parti delle Nazioni Unite (197 Stati più l’Unione Europea fanno parte della Convenzione), il summit dove i Paesi si siedono al tavolo della diplomazia alla ricerca di una soluzione al climate change e alle conseguenze del riscaldamento globale.
I record
Un summit molto atteso anche perché segnato da importanti ricorrenze: dalla prima Cop del 1995 che si è tenuta a Berlino sono passati trent’anni e da allora il cambiamento climatico si è fatto sempre più intenso e presente; è il ventesimo anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto; il decimo dell’adozione dell’Accordo di Parigi. E da record: sarà la prima volta che una Cop si svolge in Amazzonia, uno degli ecosistemi più importanti del Pianeta; ci saranno 3 mila indigeni, di cui mille partecipanti ai negoziati ufficiali, mentre il governo brasiliano sta provando a garantire la presenza di rappresentanti di indigeni da tutto il mondo.
Ma soprattutto saranno i primi negoziati Onu sul clima dopo il dato storico del 2024, l'anno più caldo mai registrato a livello mondiale e il primo anno solare in cui la temperatura media globale ha superato di 1.5°C il livello preindustriale.
Da Bonn a Belém
Nonostante l’evidenza, cioè una crisi climatica che accelera e supera il primo limite fissato dall’Accordo di Parigi, i tavoli negoziali preparatori che si sono tenuti a Bonn a fine giugno non hanno portato a grandi risultati e comunque a nessuna bozza ufficiale: poche risposte, pochissime decisioni, tante questioni rimaste aperte.
Per esempio? I cosiddetti NDCs, ovvero gli impegni di riduzione delle emissioni climalteranti che tutti i Paesi sono chiamati ad aggiornare entro il 2025, ma che molti non hanno ancora presentato.
Lo stesso vale per il Global Stocktake, che ha l’obiettivo di valutare i progressi compiuti a livello globale nell’azione per il clima, individuare le lacune rispetto al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi e identificare le opportunità per colmarle.
Temi arenati
I colloqui sul programma sulla mitigazione, il Mitigation work programme, si sono arenati. Se da un lato i Paesi in via di sviluppo hanno proposto una piattaforma per favorire il raggiungimento degli obiettivi climatici derivanti dall’attività di mitigazione, dall’altro i Paesi ricchi e le piccole isole non hanno apprezzato, anche perché hanno trovato inutile la creazione di un nuovo strumento all’interno della Cop.
E ancora, c’è la partita fondamentale delle finanza climatica, un tema cruciale nei negoziati tutt’altro che chiuso, sulla cui discussione è tutto rimandato a novembre. La questione chiave è come mobilitare i 1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 richiesti alla Cop29 di Baku. Per i Paesi in via di sviluppo la finanza pubblica deve essere lo zoccolo duro dell’azione climatica per l’adattamento, le perdite e i danni, quando invece la strada che si vuole imboccare è quella della finanza privata, che continuerebbe a intrappolarli nel debito e nella povertà.
Il ruolo del Brasile
In questo quadro difficile, che non fa presagire niente di buono, c’è una questione politica da considerare: il Brasile guidato da Lula, che vuole svolgere un ruolo fondamentale nelle diplomazia climatica, in nome e per conto dei Paesi del Sud del mondo e dei Brics, i dieci Stati che tendono a diventare un modello alternativo a quello occidentale (oltre al Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).
Ma è lo stesso Brasile che sta costruendo un’autostrada a quattro corsie nel bel mezzo dell’Amazzonia, a est di Belém, 13,3 chilometri che spaccano in due un pezzo di foresta pluviale protetta, per facilitare l’arrivo delle delegazioni alla Cop. Anche se il nome del progetto è “avenida libertade” l’opera taglia la foresta pluviale e sui bordi sono visibili i tronchi di alberi abbattuti, con la conseguente perdita di coltivazioni e di biodiversità.
Ed è lo stesso Brasile che ha di recente approvato una legge ribattezzata “legge sulla devastazione” perché riduce drasticamente le protezioni ambientali: è stata parzialmente depotenziata da Lula ma il testo finale mantiene meccanismi in grado di mettere a rischio gli ecosistemi. Pessimi biglietti da visita per una Cop30 che si preannuncia tutta in salita.