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“Lo scudo penale è stato offerto ed è stato rifiutato. Il problema è industriale”. Con queste parole il premier Conte, in una conferenza stampa notturna, convocata dopo dodici ore di riunioni e vertici dai toni anche drammatici, ha certificato la crisi di ArcelorMittal. “Per noi il rilancio dell’ex Ilva è una priorità, ma le richieste della società sono inaccettabili”: la multinazionale indiana, infatti, ritiene “che con gli attuali livelli di produzione non siano sostenibili gli investimenti, di conseguenza chiede il taglio di 5 mila lavoratori”. Previste per oggi (giovedì 14 novembre) due informative del governo, per opera del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli: gli appuntamenti sono alle ore 14 alla Camera dei deputati e alle ore 16.30 al Senato della Repubblica.
Sempre nel pomeriggio di oggi, alle ore 17.30, il presidente del Consiglio incontra a Palazzo Chigi i sindacati (sono convocati i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil, Usb, Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil), Confindustria, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, il presidente della Provincia di Taranto Giovanni Gugliotti, il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, i sindaci di Massafra, Statte, Crispiano e Montemesola. Venerdì 8 novembre, nella mattinata, si terrà anche l'assemblea dei 1.300 lavoratori dello stabilimento di Cornigliano (Genova).
Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil nazionali hanno dichiarato 24 ore di sciopero per l’intero gruppo ArcelorMittal a partire dalle ore 7 di venerdì 8 novembre. I sindacati considerano “intollerabile quanto emerso dall'incontro tra il presidente del Consiglio e i vertici di ArcelorMittal”, affermando che la multinazionale “ha posto condizioni provocatorie e inaccettabili, e le più gravi riguardano la modifica del piano ambientale, il ridimensionamento produttivo a quattro milioni di tonnellate, la richiesta di licenziamento di 5 mila lavoratori, oltre alla messa in discussione del ritorno al lavoro dei 2 mila attualmente in amministrazione straordinaria”.
Fiom, Fim e Uilm, anzitutto, chiedono all'azienda “l’immediato ritiro della procedura”. E sollecitano il governo sia “ad assumere atti forti e inequivocabili in difesa del futuro del polo siderurgico più importante d’Europa” sia a non concedere ad ArcelorMittal “alcun alibi per disimpegnarsi, ripristinando tutte le condizioni in cui si è firmato l’accordo del 6 settembre 2018, che garantirebbe la possibilità di portare a termine il piano ambientale nelle scadenze previste”. Per i sindacati le condizioni “devono includere lo scudo penale, limitato all'applicazione del piano ambientale, e il ritiro di qualsiasi ipotesi di esuberi”.
Per i metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil l’accordo del 2018 è “l’unica strada per garantire il risanamento ambientale e il rilancio dell’intero gruppo ex Ilva. Non è possibile, a un anno dalla firma, ritornare a discutere di quanto già affrontato negli ultimi sette anni”. Gli obiettivi, dunque, devono essere quelli di “scongiurare che a pagare il prezzo delle scelte scellerate di azienda e politica siano sempre i lavoratori” e di “evitare lo spettro dell’ulteriore cassa integrazione”.
"Sono inaccettabili i licenziamenti di 5 mila persone: noi abbiamo un accordo sindacale siglato pochi mesi fa, quell'accordo va rispettato". A dirlo è il vicesegretario generale della Cgil Vincenzo Colla, parlando a margine di un'iniziativa sindacale in corso a Firenze. Riguardo lo "scudo legale", Colla ritiene che "in tutti gli accordi viene sancita la manleva, perché nessuno, quando fa un investimento di miliardi, vuole rispondere degli errori fatti nel passato. E' un fatto quasi ordinario, è incredibile che si vada in Parlamento e si voti un'operazione di modifica in corso d'opera dando un alibi all'azienda". Per il vicesegretario generale della Cgil "se perdiamo la siderurgia nel Paese mettiamo in discussione una filiera strategica. Non ce lo possiamo permettere, rischiamo di andare a prendere la siderurgia dai cinesi, dai giapponesi, e poi ci fanno loro il prezzo. E' un rischio che non possiamo permetterci, abbiamo tutte le qualità per risolvere il problema".
Tornando al contenzioso tra governo e multinazionale, va subito detto che la trattativa non è ancora chiusa. L'esecutivo, infatti, ha dato due giorni di tempo a Lakshmi Mittal e a suo figlio Aditya per formulare una proposta. “Al momento la via concreta è il richiamo alla loro responsabilità”, ha spiegato Conte: “Vogliono il disimpegno o un taglio di 5 mila lavoratori, ma nessuna responsabilità sulla decisione dell'azienda può essere attribuita al governo. L’Italia è un Paese serio, non ci facciamo prendere in giro”. Per il governo, dunque, ArcelorMittal non rispetta un contratto aggiudicatasi dopo una gara pubblica. E si fa strada l’ipotesi che non convenga a nessuno che l'azienda resti in queste condizioni, e che dunque sia il caso di cercare un nuovo acquirente, magari con il sostegno della Cassa depositi e prestiti.
Il premier ha ribadito “la disponibilità a valutare elementi di accompagnamento alla situazione di mercato contingente, alle guerre commerciali in corso, alla previsione dei dazi”. Ma ha sottolineato, nello stesso tempo, che “per loro la riduzione della produzione è strutturale. E questo per noi non è accettabile, perché le criticità, che pur ci sono, non giustificano la riconsegna degli impianti né tanto meno i 5 mila esuberi chiesti”. In conclusione, Giuseppe Conte ha ricordato che “il nostro strumento al momento è la pressione del sistema-Paese”, invitando “alla compattezza” le forze di opposizione, perché “è l'intero Paese che deve reggere l'urto di questa sfida”.