In Italia si stima la presenza di circa 4,1 milioni di cittadini non autosufficienti, di cui 3,5 milioni sono anziani (Censis, 2012). Nei prossimi anni il progressivo invecchiamento della popolazione farà crescere in modo considerevole il fenomeno della non autosufficienza. Il peso dei soggetti ultraottantenni sulla popolazione complessiva crescerà infatti da circa il 6 per cento nel 2011 al 7,7 nel 2025 e al 15,5 nel 2060 (Istat, 2012).

Qual è l’offerta di servizi socio-sanitari pubblici e privati per queste persone? Gli ultimi dati disponibili dicono che nel nostro paese circa il 2 per cento di ultrasessantacinquenni sono ricoverati in strutture residenziali, mentre gli anziani seguiti con l’assistenza domiciliare integrata sono il 4,1. Siamo lontani dalle medie europee (dei paesi nord-occidentali) del 5 per cento di ricoverati e del 7 per cento di assistiti a domicilio.

Facendo riferimento al complesso delle strutture residenziali, secondo l’Annuario statistico 2009 del ministero della Salute, i posti letto per anziani in tutta Italia risultano essere circa 160 mila, distribuiti in modo molto disomogeneo; tanto che l’84,3 per cento di essi risulta concentrato nel Nord Italia. Nel Nord-Est abbiamo 246 posti letto ogni 10.000 anziani residenti; una quota che si abbassa a 228 nel Nord-Ovest, a 76 nel Centro, fino addirittura a circa 17 posti letto ogni 10.000 anziani nel Sud.

La realtà delle strutture residenziali è stata esaminata per la prima volta su scala nazionale dall’Auser.
L’indagine si è concentrata sulle Rsa, cioè le Residenze sanitarie assistenziali, strutture dedicate all’assistenza degli anziani non autosufficienti. Pur in presenza di un quadro positivo dell’offerta di servizi resi all’utenza, dalla ricerca emergono alcuni aspetti problematici. L’andamento delle tariffe risulta in diversi casi molto sostenuto, la comunicazione all’utenza non adeguata e poco chiari i dati sul personale impiegato, specie per quanto riguarda l’inquadramento. Molto interessanti sono inoltre le informazioni ricavabili dai bilanci finanziari di un campione delle Rsa, in base ai quali quello delle Residenze sanitarie assistenziali si pone come un settore anticiclico per molti operatori economici.

Le rette
In generale, in base a nostre rilevazioni effettuate presso le Asl e i soggetti erogatori (rilevazione effettuata relativamente a un campione di 1.280 Rsa), dal gennaio 2007 al giugno 2012 gli importi medi richiesti alle famiglie (partecipazione ai costi sociali e alberghieri) aumentano in modo considerevole: +18,5 per cento per la retta minima e +12,8 per quella massima. Prendiamo in considerazione il periodo temporale più recente. A giugno 2012 il costo che ciascun ospite dovrà sostenere risulta mediamente pari a una spesa giornaliera di 52 euro, nel caso di retta minima, e di 60,5 per la retta massima, in crescita rispetto a dicembre 2011 di circa l’1,4 per cento.

Gli aumenti più rilevanti si verificano nelle Rsa campane, piemontesi, lombarde e della Sicilia. Le Rsa della provincia di Varese presentano, congiuntamente ad aumenti sostenuti nel periodo considerato (+3,1 euro per le rette massime), costi per l’utenza finale più elevati rispetto alla media (dai 61,5 euro al minimo ai 70,5 euro al massimo).

Le cause che sono alla base dell’alta politica tariffaria (che coinvolge solo una parte delle Rsa) sono di diversa natura e interessano almeno quattro profili: la recente ripresa dei livelli di inflazione, il desiderio di profitto degli enti gestori, la carenza di modelli organizzativi efficienti, la riduzione dell’impegno finanziario della quasi totalità delle Regioni a sostegno del sistema Rsa.

I bilanci degli enti gestori delle Rsa

I risultati dell’analisi economico-finanziaria sul “sistema delle imprese Rsa” realizzata da Auser evidenziano come soprattutto nell’ultimo decennio il settore delle residenze per gli anziani sia stato oggetto di fenomeni tipici della riorganizzazione d’impresa, quali la crescita dimensionale, il potenziamento della presenza delle multinazionali e il forte ricorso a logiche gestionali di profitto.

Analizzando un campione significativo di bilanci finanziari (anno 2011) relativi a 113 strutture residenziali riconducibili ai principali gestori operanti in Italia, e in particolare nelle regioni del Nord (Residenze Anni Azzurri Srl, Sereni Orizzonti Spa, Aetas Spa, Segesta 2000 Srl), è possibile svolgere le seguenti considerazioni: 1) il settore risulta anticiclico rispetto all’andamento economico generale (nazionale e mondiale) e ciò è testimoniato dalla continua crescita degli investimenti nel settore e dei fatturati dei principali operatori anche in periodi in cui la crisi finanziaria internazionale ha colpito la generalità delle attività economiche; 2) gli utili di settore risultano in diversi casi cospicui; 3) il mercato italiano è oggetto di penetrazione da parte di operatori esteri, prevalentemente francesi.

Prendiamo ad esempio uno dei più grandi gruppi italiani operanti nel settore delle Rsa, Sereni Orizzonti Spa. Nell’ultimo triennio gli utili registrano un forte miglioramento (da circa 765.000 euro nel 2009 a circa 1,9 milioni di euro nel 2011); si tratta di un incremento del 150 per cento in tre anni che non ha praticamente eguali se confrontato con il più ampio settore industriale o dei servizi. Il numero dei dipendenti cresce del 139,81 per cento (da 211 del 2009 a 506 nel 2011) mentre la crescita in percentuale dei costi del personale nel triennio è risultata inferiore (+93,41 per cento). Un altro grande gruppo, Aestas di Torino, nel 2011 dichiara un utile di 4 milioni di euro (erano poco più di 95 mila nel 2009) con un numero di dipendenti pari solo a sei.

Il personale
I dati di bilancio e le analisi svolte mediante questionario, pur in presenza di un quadro disomogeneo delle informazione e delle risposte ottenute, lasciano intravedere organici molto variegati nonché il forte ricorso alle forme di outsourcing del personale. I pochi dati disponibili sulle forme contrattuali attivate consentono comunque di rilevare la presenza di almeno il 32 per cento di contratti a termine. Il dato che desta maggiori perplessità riguarda l’inquadramento professionale: i dipendenti sanitari sono spesso assimilati a “operatori sanitari della struttura”, le criticità riguardano soprattutto i pochi addetti inquadrati come infermieri professionali e la scarsa visibilità di altre figure specialistiche. L’insoddisfacente applicazione degli inquadramenti professionali si può ripercuotere negativamente sulla tutela dei diritti dei lavoratori nonché sulla qualità delle prestazioni rese agli utenti.

Infine, mediamente, circa il 35 per cento del personale è impiegato nei servizi generali e amministrativi. È un dato che fa riflettere, sia tenuto conto della recente stratificazione della normativa nazionale e regionale, che ha di fatto incrementato in modo considerevole il numero degli adempimenti amministrativi e burocratici, sia considerando che una maggiore collaborazione fra strutture residenziali diverse potrebbe portare alla realizzazione di importanti economie di scala nella gestione di questo tipo di servizi.