Oggi (26 gennaio) a Roma, nell'ambito dell'Assemblea nazionale delle Camere del lavoro, la Cgil ha reso omaggio ad Antonio Pizzinato, iscritto alla confederazione dal 1947 e segretario generale dal 1986 al 1988. Susanna Camusso gli ha consegnato la settantesima tessera – la numero 1 del 2017 – insieme a  una targa ricordo. Nel corso dell'iniziativa, è stato proiettato il film "70 insieme", di Rachel Sereke ​

Operaio metalmeccanico ho scelto di esserlo. Ma le mie radici sono contadine – si racconta Antonio Pizzinato in un dattiloscritto non ancora edito donato qualche anno fa all’Archivio storico Cgil nazionale –, come lo erano quelle della maggior parte degli operai italiani nel secolo scorso. Sono nato nel Basso Friuli, a Fiaschetti, frazione di Caneva. Settanta e rotti anni fa, quando ci son venuto al mondo, avrà avuto sì e no duecento abitanti, tutti agricoltori. Questa della mia infanzia è terra buona, e bella: una distesa, ai piedi di una catena di montagne, che si estende per chilometri con terreni ben tenuti, coltivati alcuni a grano, altri a granturco. Alternati, filari di viti”.

Fiaschetti è lì: nel centro, un gruppo di casette a due piani e un’osteria, ai lati un crocevia di strade bianche che collegano altre decine di casolari sparsi nella campagna. “Incastonato nel cuore dell’arco montuoso, come se qualcuno ce lo avesse dipinto, spicca un grande quadrato verde scuro. È il Gaiardin, praticamente un fitto di pini. Scendendo con lo sguardo verso il piano si incontra Sarone, altra frazione di Caneva. Messa così, tra due colline, sembra un presepe. Sulla destra ha il Col di San Martin, verde di faggi e conifere, alla sinistra il Col de Fer, prati rossicci costellati di rocce e sassi neri. A qualche decina di metri più in là, andando verso Est, la strada bianca fa una curva e prosegue fiancheggiata da pioppi molto alti. La loro ombra accompagna il cammino fin sopra il ponte sulle acque fredde del Livenza, che ha una delle sue sorgenti poco più a Nord, al Gorgazzo, nel Comune di Polcenigo. Quasi a ridosso del fiume, sull’argine destro c’è una tipica casona di campagna, a forma di elle. Il cortile è ampio, vi si affacciano cinque abitazioni, più le stalle. Come recita anche la cartina geografica è il “curtivo dei Pizzinat”, il posto (o più precisamente: la corte) dove sono nato, l’8 ottobre 1932 e dove ho passato i primi quattordici anni della mia vita”.

Fra i paesi alle pendici di Pian del Cansiglio, Antonio vive la sua esperienza di ragazzino coinvolto dalla guerra e dalla Resistenza. Nel 1947 emigra a Milano, dove nell’aprile dello stesso anno viene assunto come apprendista alla Borletti di via Washington. Nello stesso anno si iscrive alla Fiom e nel 1948, subito dopo l’attentato a Togliatti, entra giovanissimo nel Pci. “Per la mia vita è uno spartiacque – racconta sempre Pizzinato –. È il momento della scelta. Ancora in preda allo sdegno e alla collera presento la mia domanda di iscrizione al Partito comunista italiano, anche se nessuno me lo aveva mai chiesto. La cosa, allora, non era tanto semplice. Bisognava compilare un’autobiografia – al Partito non si mente! – ed essere presentati da due iscritti che controfirmassero sia la domanda che l’autobiografia. I miei due garanti sono Giovan Battista Premoli e Rognoni. Quest’ultimo è stato negli anni dieci segretario della Federazione giovanile socialista milanese. Premoli è stato il segretario di quella comunista in clandestinità sotto il fascismo. La risposta tarda. Solo in autunno il comitato di fabbrica del partito discute la mia domanda. Vengo reputato troppo giovane. Mi invitano a iscrivermi al Fronte della gioventù, un’organizzazione giovanile di massa fondata durante la Resistenza da Eugenio Curiel ed egemonizzata dai giovani comunisti. Otterrò la tessera di comunista solo nel 1949, quando verrà fondata la Federazione giovanile comunista italiana (Fgci)”.

Nel 1954, concluso il servizio militare di leva, Pizzinato è eletto nella Commissione interna della stessa Borletti. Ma ben presto il suo impegno sindacale vede aumentare il raggio d’azione. Dopo quattro anni in Urss e una breve parentesi napoletana nel 1962 è nella Fiom provinciale di Milano (Ufficio studi, contrattazione e formazione), nel 1964 è eletto nel Comitato centrale della Fiom e dall’anno successivo diventa il responsabile della Fiom di Sesto San Giovanni, entrando a far parte della segreteria provinciale. Mantiene l’incarico fino al 1975, quando viene chiamato a dirigere l’Ufficio sindacale della neonata Flm e diventa segretario generale della Fiom provinciale.

A proposito del rientro dall’Unione Sovietica, Antonio racconta: “Autunno del 1961: è come se si riprendesse il lavoro ritornando in città dopo le ferie estive, ma l’intervallo è durato quasi quattro anni. Cerco di reinserirmi nella vita quotidiana. Non è semplice, perché la città – allora locomotiva del “miracolo economico”, come si diceva – in breve tempo era cambiata profondamente e rapidamente continuava a mutare. E il mio luogo di lavoro non è più la fabbrica: è un palazzotto in stile littorio, l’ex casa del fascio di Porta Garibaldi, divenuta al momento della Liberazione (e non a caso la piazza è stata intitolata al XXV aprile) sede della federazione provinciale del Pci. È lì che mi reco ogni mattina per lavorare. Una delle prime mattine, mentre salgo le scale a due a due per andare a colloquio con Cossutta, che nel 1958 ha sostituito Alberganti alla guida dei comunisti milanesi, mi vedo sbarrare la strada da Assunta, che nel frattempo è diventata la sua segretaria: bravo, te ne vai via per quattro anni e non mi fai sapere niente, non mi vieni neppure a salutare quando torni. Vuol far credere di scherzare, ma si vede che è arrabbiata davvero. È diventata un fior di ragazza e mi intimidisce. Farfuglio qualcosa sulla segretezza della mia trasferta e scappo dentro l’ufficio di Cossutta”.

Il giorno dopo Antonio si presenta da lei con un mazzo di fiori. “È un gesto che ripeterò spesso. Visto che Cossutta, uscendo dal colloquio, me l’ha indicata esortandomi a rivolgermi a lei per qualsiasi problema, ho infatti una buona scusa per passare almeno a salutarla ogni mattina. Assunta mostra chiaramente di gradire queste mie attenzioni, ben poco consuete, allora, nel mondo in cui vivevamo …. Un bel giorno, all’inizio del 1962, prendo il coraggio a due mani e le chiedo di uscire con me solo. Mi dice di sì. Comincia cosi un rapporto molto intenso, quasi quotidiano …. Un giorno devo partecipare a una riunione di partito a Sesto San Giovanni. Non solo non ho la macchina, ma non ho neppure la patente. Il viaggio coi mezzi pubblici – la metropolitana non esiste ancora – è lungo. Assunta, orgogliosa della sua patente appena conquistata, si offre di accompagnarmi con la macchina della federazione. L’emozione però la attanaglia. Al ritorno la vedo soffrire dietro un camion lentissimo, senza avere il coraggio di sorpassarlo, per tutto il lungo viale Sarca. Faccio finta di non accorgermene, per non metterla ancora di più in imbarazzo, ma soffro anch’io per lei. All’arrivo è in un bagno di sudore, tutta rossa: pochi giorni dopo ci ‘fidanziamo’. Al cinema, a teatro, ci andiamo da soli, noi due. Andiamo a un concerto di Toni Dallara, il primo degli ‘urlatori’. Canta Come prima, più di prima: sarà la ‘nostra’ canzone. L’estate successiva trascorriamo le ferie insieme, al mare, sulla Riviera romagnola” (1).

Nel 1977 Pizzinato entra a far parte del direttivo nazionale della Cgil e nel 1979 viene eletto segretario generale della Camera confederale del lavoro di Milano, quindi – a partire dal maggio del 1980 – è membro della segreteria regionale della Cgil Lombardia. Nel 1981 lascia la Camera del lavoro per dedicarsi a pieno tempo alla direzione della Cgil regionale. Tre anni più tardi, nel luglio del 1984, è eletto nella segreteria nazionale della Cgil (vi rimarrà fino al 1991). Nello stesso anno, diventa giornalista pubblicista. Ricorda ancora Pizzinato: “Dal 17 al 19 di aprile a Chianciano si tiene la conferenza nazionale della Cgil sulle politiche contrattuali e rivendicative dopo l’accordo separato e la manifestazione nazionale mentre è ancora in corso il dibattito parlamentare. Un confronto serrato, l’approvazione di una serie di documenti elaborati nelle commissioni, un tentativo di compiere un passo in avanti nel rilanciare le politiche della Confederazione. Il 6 maggio sera mi reco a Roma perché il mattino dopo ho un colloquio con Luciano Lama. È il seguito di altri colloqui avuti con lui e non solo con lui. Avevamo già discusso più volte sulla proposta di trasferirmi a Roma e operare in segreteria nazionale. Me ne aveva parlato Trentin, Reichlin assieme a Lama e anche Berlinguer. Mentre Galli insisteva perché andassi alla Fiom nazionale, anche nella prospettiva che terminato il mandato congressuale lui lasciasse la categoria. Al mattino mi alzo e mentre esco dal solito albergo in via del Viminale, dove un tempo c’era la sede della Fiom nazionale, Bellocchio mi informa che la sera prima Enrico Berlinguer, mentre teneva un comizio a Padova, è stato male, è all’ospedale in coma. Sono costernato, mi sembra impossibile che sia potuto accadere, anche in relazione all’ultima volta che gli avevo parlato, mentre partecipavo ad un incontro pubblico”.

In Cgil, si svolge l’incontro con Lama e Gianfranco Rastrelli, all’epoca responsabile dell’organizzazione: quest’ultimo entra nel merito dei motivi che hanno reso non più prorogabile il colloquio, “dopo che abbiamo ragionato sullo stato di Berlinguer alla luce anche delle informazioni che Luciano Lama aveva avuto direttamente dalla Direzione del Partito e da Padova. La proposta è di eleggermi in segreteria Cgil al primo Consiglio generale della Cgil e di trasferirmi immediatamente a Roma, poi Lama secco aggiunge ‘e adesso Antonio, non penserai mica, a fronte di quanto è accaduto a Berlinguer ed al suo stato di fare marcia indietro. Venire in Cgil è anche un obbligo morale che hai verso di lui’. Esaminiamo vari aspetti politici ed alcuni organizzativi, concordando di esaminare gli altri aspetti con Rastrelli. Angosciato per le condizioni di Berlinguer, ritorno a Milano”.

L’11 giugno, senza riprendersi, muore Berlinguer. “I funerali si svolgeranno a Roma, un’imponente manifestazione di affetto, di cordoglio. Il 17 giugno, alle seconde elezioni del Parlamento europeo, il Pci, per la prima volta, supera la Democrazia Cristiana, con un numero di voti che non ha precedenti. Il 26 giugno il Comitato centrale elegge Alessandro Natta segretario del Pci. Nei giorni successivi, il 20 luglio, si riunisce il Consiglio generale della Cgil, vengo eletto in segreteria nazionale e sono invitato a trasferirmi rapidamente a Roma perché durante il mese di agosto devo già fare il turno di 15 giorni di presidio della segreteria. Vado ad abitare in un micro appartamento in corso d’Italia 102, proprio all’altezza e di fronte al monumento che ricorda la Breccia di Porta Pia. Il 26 luglio si svolge la riunione del Consiglio regionale della Lombardia con Lama, lascio la responsabilità regionale. Paolo Lucchesi viene eletto segretario aggiunto, in mia sostituzione”.

Quando al congresso del marzo 1986 Luciano Lama lascia la Cgil, Antonio Pizzinato è eletto segretario generale (qui il documento con le sue conclusioni). Nel novembre del 1988 rimette il mandato: a succedergli è Bruno Trentin. Nel 1992 è eletto deputato, nel 1994 consigliere comunale a Sesto San Giovanni e nel 1996 senatore, ricoprendo l’incarico di sottosegretario al Lavoro nel primo governo Prodi. Nel 2007 è eletto presidente regionale dell’Anpi Lombardia, di cui è tuttora presidente onorario.

(1) Il 19 ottobre 1962, nel municipio di Sesto, Giuseppe Carrà, sindaco della città, unisce civilmente Antonio e Assunta in matrimonio. “La scelta del rito civile – racconta sempre Pizzinato – provoca forti contrasti coi miei cattolicissimi genitori. Per loro si tratta di un fatto talmente grave da indurli a decidere di non assistere alla cerimonia. Ma li sento ancora discutere animatamente e a lungo, la notte precedente le nozze: anch’io sono sveglio per il rammarico e la tensione che ha creato in me quella loro decisione. La mattina dopo, all’ultimo momento, mi comunicano che hanno cambiato opinione e che ci saranno. Ne sono doppiamente felice”.

Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale