È di sicuro la notte più citata negli ultimi giorni. Parliamo di quella tra il 27 e il 28 maggio e dell'attacco a base di troll e bot al presidente delle Repubblica sull'onda dell'hashtag #Mattarelladimettiti. Quella notte anche la Cgil c'era, o meglio, ha vissuto il suo “personale” attacco scatenato subito dopo un intervento su Twitter e su Facebook a sostegno del presidente della Repubblica.

La sera del 27 Luigi di Maio, non ancora ministro del Lavoro e vice premier, intervenendo a sorpresa alla trasmissione di Fabio Fazio su Rai 1 "Che Tempo che fa", commentando il no di Mattarella a Savona ministro dell'Economia e del conseguente stop alla formazione del governo 5stelle/leghista guidato da Conte, intorno alle 22.10 parla di “messa in stato d'accusa del presidente Mattarella”. Nell'arco di pochi minuti le agenzie di stampa rilanciano la notizia contrassegnandola come di assoluto rilievo +++DI MAIO, IMPEACHMENT MATTARELLA E POI AL VOTO +++. 

Alle 23.40 dall'account twitter della Cgil nazionale parte un messaggio che viene pubblicato anche sulla pagina Facebook istituzionale, “Rispetto per la #Costituzione Difendiamo le prerogative del presidente della Repubblica e le istituzioni democratiche. Nessuno s'azzardi a pensare una guerra alle istituzioni. Decisioni rapide per l’economia e il lavoro. Gli interessi di lavoratori, pensionati, giovani, disoccupati siano al 1° posto”. Da quel momento, sul profilo Twitter e su quello Facebook della Cgil si registra un volume di traffico fatto di condivisioni e commenti ampiamente sovradimensionato rispetto ai numeri abituali. 247 commenti, 311 retweet, 503 like su Twitter; 188.376 persone raggiunte su Facebook per 457 commenti e 1,3 mila condivisioni.

I commenti sono in stragrande maggioranza critiche violentissime, qualche struttura o iscritto prova a sostenere la posizione ufficiale della Cgil, ma viene a sua volta travolto da insulti e offese. Su entrambi i social, molti dei profili che commentano hanno pochissimi amici, raramente foto con volti riconoscibili, scarsi post o tweet autonomi e soprattutto retweet o condivisioni di post di altre persone. Che ci si trovi di fronte a qualcosa di anomalo è chiaro. 

Ad osservare quello che accade quella notte su Twitter e su Facebook sembra di assistere a una rissa tra bande, condotta a colpi di insulti e violenza verbale, che qualcuno arriva persino a paragonare a un clima da guerra civile. Per spiegare l'hate, l'odio che alimenta e alimentano i social, studiosi ed esperti sostengono che sul web funzionano meglio, e quindi diventano più facilmente virali, gli estremismi, gli assunti secchi o urlati, i provocatori che parlano alla pancia delle persone. Nelle piazze virtuali di Twitter e Facebook sparisce così il buon senso, la dialettica, la verità e restano solo insulti, rabbia e falsità diffamatorie. E, fuori dalla rete, un Paese diviso a metà: da una parte quelli che stanno con Mattarella, dall'altra quelli contro; da un lato quelli che credono nell'importanza dei vaccini a dall'altra i no-vax; quelli che prima gli italiani contrapposti ai radical chic buonisti pro migranti. In un pericoloso clima di perenne contrapposizione. 

L'inchiesta di cui tanto si parla in queste ore è semplicemente una conferma di quanto in quei giorni si era immaginato. Restano nodi importanti da sciogliere. Perché se è vero che la notte del 27 maggio sono stati creati 400 falsi account twitter che hanno alimentato in maniera esponenziale il dissenso e la rabbia fino a creare sui social media un clima da guerriglia web, resta difficile scoprire quale sia la regia e quali misure si possono e devono prendere per evitare che l'opinione pubblica sia così facilmente pilotabile.