Si chiama Simone Perotti, ha 43 anni e ha deciso di cambiare marcia. Non di accelerare ma il contrario: di rallentare. Nel libro Adesso Basta (edito da Chiarelettere) racconta la sua esperienza di downshifting (letteralmente, appunto, cambiare marcia) e il difficile rapporto tra lavoro e libertà dell’individuo, da lui risolto abbandonando la carriera di manager per immergersi nella scrittura, nella navigazione e in molte altre attività.

Chissà se la “ricetta” può essere utilizzata anche dai lavoratori comuni, quotidianamente impegnati in attività poco gratificanti, a cui però per evidenti ragioni di sopravvivenza è difficile sottrarsi. La risposta di Perotti, che abbiamo raggiunto tramite mail, è molto chiara: “Molti lavoratori vivono condizioni di disagio, sono sfruttati, mal retribuiti, non sono garantiti. E’ necessario che un paese civile, ligio alle regole democratiche e rispettoso dei diritti delle persone, offra a tutti le garanzie minime e il dovuto rispetto nell’ambito lavorativo affrontando e risolvendo il più possibile i problemi della disoccupazione e del lavoro nero, della sicurezza e dei diritti”. “Il problema però – prosegue - è che c’è un grande spazio di manovra oltre tutto questo. E’ lo spazio della responsabilità dell’individuo, del suo impegno personale, della congruenza tra le sue aspirazioni e l’energia con cui le persegue. E’ stato fatto molto per garantire i lavoratori, molto altro deve essere fatto, ma è stato fatto poco per sensibilizzare ognuno di noi sulle proprie responsabilità, sul proprio diritto/dovere di dire sì o no a quel che viene proposto, sull’intraprendenza e l’energia che il singolo deve profondere. Liberi e autonomi non si nasce, lo si diventa, occorre lavorare molto su di sé”.

Rassegna Dal suo racconto sembra che alla fin fine l’unico risultato a cui si può aspirare lavorando sia solo e semplicemente il reddito, che il lavoro non consenta nessuno spazio di autorealizzazione.

Perotti Non lo dico io, è spesso la realtà a dirlo. Il sistema attuale predica benessere ma persegue profitto. Le aziende parlano di continuo di mission sociale, coinvolgimento dei lavoratori, partecipazione, creatività, ma poi perseguono solo riduzione dei costi e aumento della produttività. Dall’altra parte, dalla nostra parte, vedo molti lavoratori proni, privi di idee, di contributi ideali e creativi, di energia e partecipazione. Occorre riportare ognuno alle sue responsabilità. Serve un nuovo umanesimo lavorativo.

Rassegna Non crede che, in realtà, una scelta come la sua sia molto personale e comunque legata anche a una condizione che, obiettivamente, le consentiva l’azzardo?

Perotti No, per due ragioni. La prima è che io ho buttato via tutti i benefici che avevo per essere libero. Questo l’ho fatto senza patrimoni ingenti alle spalle né famiglie ricche. Non avrò neppure la pensione. L’ho fatto perché quando morirò voglio pensare che, tuttavia, ho provato a essere un uomo autentico e libero, anche pagandone il prezzo. Io faccio ogni cosa da solo, ottimizzo tutte le mie risorse, so di avere qualche capacità e la metto in pratica. Mi assumo ogni mia responsabilità, senza assistenza, senza piagnistei. La mia libertà credo di meritarmela e ne sono orgoglioso. Il primo che la mette in discussione venga con me per dieci giorni nel bosco a lavorare come un negro dieci ore per fare la legna per l’inverno. Poi ne riparliamo.

La seconda ragione è che io non sostengo affatto che tutti possano smettere di lavorare. Un uomo che guadagna 1000 euro al mese e ha due figli come fa a smettere di lavorare? Come può cercare di essere libero? Per quell’uomo occorre un patto diverso, va difeso, va aiutato dallo Stato e dalla società. Il punto è un altro. Perché chi ha già lavorato abbastanza, o magari chi ha proprietà e risparmi, continua a lavorare a pagamento, continua a occupare un posto di lavoro che potrebbe andare invece a un disoccupato? Perché non aspira a smettere, a essere libero, oppure a continuare a lavorare ma senza bisogno di guadagnare? E poi, terzo caso: perché chi può emanciparsi come me dal lavoro, magari in dieci anni, non ci prova?

Rassegna A proposito della possibilità di azzardo, non pensa che la categoria dei manager sia oggi pagata in maniera eccessiva e che quindi occorrerebbe una più equa distribuzione del reddito?

Perotti Assolutamente d’accordo. Lo spread tra stipendi nelle diverse classi di lavoratori è enorme. Anche tra gli stessi dirigenti. Non c’è misura dell’efficacia dell’azione, non c’è responsabilità diretta tra lavoro, prestazione e retribuzione. Spesso c’è un problema di generazioni giovani che non riescono ad accedere alla responsabilità. E’ pazzesco che manager strapagati, a capo di aziende che hanno fallito la loro azione imprenditoriale, finanziaria, commerciale, creando enormi problemi alla collettività, siano ancora al loro posto, strapagati. Ma pensiamo ai servizi. Perché si consente a manager strapagati di sbandierare in televisione che i telefonini funzionano, le autostrade funzionano, quando questo non è vero in grandissima parte? Perché io pago interamente il pedaggio autostradale ma poi l’autostrada della Cisa per dieci anni è a una corsia per lavori? Perché quel non risponde alle sue responsabilità verso di me: verso di me che pago, che sono il suo cliente?
Va anche detto però che esistono moltissimi manager che reggono sulle spalle il peso di aziende traballanti, a rischio, senza di loro sarebbe un disastro. Quei manager, spesso giovani, sono sottopagati.

Rassegna Cosa ne pensa dei sequestri di manager così diffusi soprattutto in Francia nell'ultimo periodo? E' giusto addebitare ai manager la colpa delle crisi aziendali?

Perotti Mi pare che i lavoratori se la prendano soprattutto con il middle management, e questo è sbagliato. Il capo in testa guadagna più di tutti. E’ lui che deve rispondere. Bisogna stare molto attenti a non pensare ai manager come fossero un solo uomo. Ce ne sono di bravi, che hanno salvato aziende. A loro vada il giusto merito. Poi ce ne sono molti che andrebbero rimossi subito, che non meritano la fiducia degli azionisti.

Rassegna In conclusione il presente. Lei oggi è impegnato in molte attività e in questa molteplicità, si capisce, trova tanta gratificazione. Ma se tutto questo poi è lavoro, non c’è il rischio alla lunga di un nuova condizione di stress?

Perotti Certo che c’è. Io non sono ricco, se non pulisco le barche per 80 euro non mangio. E le assicuro che si fa fatica a stare piegati e a lavare per terra. Bisogna trovare un punto di equilibrio. Oggi però nessuno può alzare il telefono e farmi battere i tacchi. A lei sembrerà poco, ma per uno che ha battuto i tacchi per diciannove anni sembra un paradiso.