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Usa la testa e non cedere alla paura. È questo il mantra di Miriam Milesi, infermiera del pronto soccorso all'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e rappresentante Fp Cgil dei lavoratori per la sicurezza. Siamo in Lombardia, la zona rossa del coronavirus. I dati sono impietosi: 1.254 positivi su oltre 1.800 in tutta Italia, 38 vittime su 52 totali, 605 persone ricoverate, di cui 127 in terapia intensiva, 472 casi asintomatici e in isolamento domiciliare, 139 dimessi, ma in quarantena. Altrove, nel Paese, c’è ancora chi scherza sul Covid-19, qui, appena 63 chilometri a nord di Codogno, c’è poco da ridere e l’attenzione resta altissima. Siamo nel vivo della battaglia. Bergamo con 243 casi accertati è seconda solo a Lodi tra le province della regione.
Miriam fa parte della prima linea, è una di quelle che assiste chi arriva in ospedale perché accusa i sintomi tipici del contagio. Cura i cittadini e, come Rls, protegge i suoi colleghi. Come si fa a restare calmi? “Vai al lavoro la mattina e cerchi di non pensare ai rischi che corri. Hai le tue procedure, i tuoi dispositivi di protezione, sono queste le tue armi – racconta senza un filo di agitazione –. Certo, per molti di noi ritornare a casa dai bimbi o dai familiari anziani alimenta la paura, il carico di stress. L’idea che potresti contagiarli ti spaventa”. Comprensibile, alla luce della denuncia fatta dai sindacati provinciali negli ultimi giorni, sull'incremento dei casi di medici, infermieri e di altro personale sanitario risultati positivi e ricoverati o messi in quarantena. “Abbiamo la netta percezione – è il grido di allarme lanciato dai leader delle organizzazioni di rappresentanza – che non sia stato messo in campo tutto quello che serviva, sia in termini di fornitura di dispositivi di protezione individuale, sia rispetto all'applicazione delle disposizioni regionali”.
Usa la testa e non cedere alla paura, continua a ripetersi Miriam Milesi, indossando e poi smettendo, giorno per giorno, questi dispositivi, unico riparo contro il pericolo contagio. “Cappellino e cuffietta per proteggere i capelli dal pericolo che li raggiunga qualche gocciolina di saliva emessa durante tosse e starnuti o anche, semplicemente, durante una conversazione. Un rischio alto considerando il contatto stretto con il paziente, richiesto dalle manovre di assistenza. Immancabile la mascherina sul volto, la FFP2, che garantisce una protezione più alta. Sugli occhi la visiera di materiale plastico, da decontaminare a fine turno con potenti disinfettanti, così da poterla riutilizzare. Due paia di guanti, a volte, per determinate procedure, anche tre. Lungo camice impermeabile con un elastico ai polsi. E calzari per isolare le scarpe”.
Strumenti essenziali che nel suo ospedale non mancano, altrove, denunciano i sindacati, purtroppo sì. A dirlo è Roberto Rossi, il segretario della Fp Cgil di Bergamo. “Ho ricevuto anche poco fa la segnalazione di un delegato che lamentava, nella struttura sanitaria in cui lavora – e non era la prima volta – la pesante carenza di dispositivi di protezione individuale, quali mascherine, camici e copricapo. In un’altra azienda ospedaliera due giorni fa non c’erano divise pulite, per via dei lavaggi continui. Per cui, mi è stato riferito, il personale è stato costretto a riutilizzare quelle già indossate. Questa è una delle ragioni per cui sta aumentando il numero dei contagiati tra il personale medico sanitario. E le segnalazioni di questo tipo, dal nostro osservatorio, si moltiplicano. Come si moltiplicano – continua il sindacalista – le nostre sollecitazioni a intervenire, inviate alle singole aziende e agli organi di controllo dell’Ats, le agenzie di tutela della salute, le vecchie Asl. Nessun lavoratore però si è voluto fermare per protesta. In questo momento prevale la preoccupazione per la salute dei cittadini”.
Una situazione d’emergenza che ha portato lo stesso Maurizio Landini a chiedere che anche le strutture di sanità privata si concentrino sulla lotta al coronavirus. “Lo chiediamo da una settimana – dice Roberto Rossi – ma solo nelle ultime ore abbiamo abbiamo potuto riscontrare con certezza che le cliniche private – anche se non tutte – hanno sospeso gli interventi non urgenti e iniziato a riservare posti letto ai casi di Covid-19. Ancora una volta per molti giorni la logica del profitto ha prevalso su tutto. Adesso ci auguriamo che allestiscano anche nuovi posti per la terapia intensiva. Il loro impegno su questo fronte è un motivo in più, ricordando la durissima vertenza in corso, per assicurare ai lavoratori della sanità privata quel rinnovo del contratto nazionale che è atteso ormai da 13 anni”.
Usa la testa e non cedere alla paura. Più facile a dirsi che a farsi, in un territorio in cui la quotidianità è stata stravolta dall'emergenza e un lungo elenco di limitazioni, rinnovato per ora fino a domenica 8 marzo, ritarda il ritorno alla normalità. Ancora sospese le lezioni scolastiche di ogni ordine e grado. Rimandati tutti i concorsi. Chiusi i cinema e i teatri; aperti i musei, ma le entrate sono contingentate e ogni visitatore deve mantenere almeno un metro di distanza dall'altro. Nei bar, nei pub e nei ristoranti è consentito l’accesso, ma sono limitati i posti a sedere e, anche qui, è obbligatorio tenere la distanza di sicurezza di almeno un metro l’uno dall'altro. Chiuse le palestre, le piscine, i centri benessere e i centri termali. In particolare a Bergamo, oltre che a Lodi, Piacenza e Cremona, nel fine settimana prossimo saranno chiuse le medie e grandi strutture e le vendite dentro i centri commerciali, ad esclusione delle farmacie, parafarmacie e punti vendita alimentari. I mercati sono aperti tranne sabato e domenica. Persino l’annata magica dell’Atalanta rischia un altro rinvio forzoso: per ora sembra certo lo stop al match clou di sabato in casa contro la Lazio, dopo il rinvio della sfida con il Sassuolo di dieci giorni fa. Neanche a dirlo, anche questa settimana non ci si potrà sposare, non si potranno battezzare i figli, né celebrare funerali. Non c’è molto da fare, per ora. Se non usare la testa. Non cedere alla paura. E, si raccomanda Miriam, lavarsi le mani. Spesso e accuratamente.