Il ministro Zangrillo ha deciso: per medici e infermieri non ci sarà un euro in più. Non per cattiveria, ma per principio. Il principio secondo cui curare non deve diventare un vizio costoso. D’altronde, pretendere stipendi dignitosi per chi salva vite ogni giorno è un capriccio fuori moda. Meglio la sobrietà, quella che si impone agli altri mentre si amministrano i bilanci come se fossero sudoku: tutto deve tornare, tranne i conti con la realtà.

Del resto, l’arte di dire “non c’è un euro” mentre si spendono milioni in consulenze è diventata alta amministrazione. E il Nostro incarna perfettamente lo spirito dell’equilibrio: da un lato si predica rigore, dall’altro si balla sul Titanic con le cuffie. Mentre le regioni chiedono aiuto e i sindacati minacciano scioperi, lui fissa il nulla con compostezza, come un monaco zen della burocrazia.

Forse è una nuova filosofia: il paziente guarisce per mancanza di alternative, il medico resiste per sport estremo, l’infermiere si sdoppia tra due reparti e una pizzeria. È l’eccellenza all’italiana: più fai con meno, finché non fai più nulla. I reparti si svuotano, le liste si allungano, i burnout si moltiplicano. E intanto i giovani volano via, non per ambizione, ma per sopravvivenza.

Zangrillo non sbraita, non promette, non insulta. Semplicemente taglia, cancella, sorride. È il volto calmo della ritirata. Un ministro che fa meno del minimo sindacale con eleganza glaciale, lasciando che il sistema imploda in silenzio: turni massacranti, concorsi deserti, camici appesi al chiodo.

La linea è chiara, l’obiettivo nobile. Un giorno potremo vantare il primo sistema sanitario basato sull’autogestione spirituale, dove ci si cura con l’empatia e si opera con la forza del pensiero. Niente anestesia, solo consapevolezza. Niente pronto soccorso, solo resilienza. E quando anche l’ultimo specializzando avrà fatto le valigie, resterà lei caro ministro, sereno e inamovibile, a spiegare che sì, forse è morto qualcuno, ma con grande rigore contabile.