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Domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025, gli italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque referendum abrogativi che affrontano due temi centrali: lavoro e cittadinanza. Quattro quesiti mirano a modificare profondamente leggi legate al Jobs Act e alla sicurezza sul lavoro; il quinto propone di ridurre da dieci a cinque anni il periodo minimo di residenza per ottenere la cittadinanza italiana per i cittadini extra-Ue.
Il fronte del Sì: sinistra (quasi) compatta
L’Alleanza Verdi-Sinistra è in prima linea nella campagna referendaria per il Sì su tutti e cinque i quesiti, sostenendo con forza le proposte di maggiore tutela dei lavoratori e di inclusione dei cittadini stranieri. Anche il Partito della Rifondazione comunista voterà convintamente 5 Sì.
Anche il Partito Democratico ha ufficializzato il suo sostegno a favore del Sì su tutti i quesiti. Tuttavia, non mancano dissensi interni: figure come Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Giorgio Gori e Pina Picierno hanno espresso riserve, soprattutto sui quesiti relativi al Jobs Act, mostrando che la coesione del Pd sul tema non è totale.
Il Movimento 5 Stelle, sotto la guida di Giuseppe Conte, sostiene convintamente i quattro referendum sul lavoro. Sulla cittadinanza, il movimento lascia libertà di coscienza, sebbene Conte abbia dichiarato pubblicamente il proprio Sì anche su questo tema.
I centristi: linee miste e distinguo tattici
Più Europa appoggia il Sì al quesito sulla cittadinanza e a quello sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, ma si schiera per il No sugli altri tre. Una posizione che mira a mantenere l’equilibrio tra diritti civili e sostenibilità giuridica delle norme.
Azione, guidata da Carlo Calenda, ha espresso dubbi sullo strumento referendario stesso, ritenendolo inadatto a regolare temi complessi come quelli proposti. Tuttavia, sostiene il solo quesito sulla cittadinanza, coerentemente con la propria linea liberal-progressista sui diritti civili.
Per quanto riguarda Italia Viva, Matteo Renzi ha invitato i suoi elettori a votare Sì al quesito sulla cittadinanza, No al quesito sui licenziamenti e i contratti a tutele crescenti sui licenziamenti e a quello sulla reintroduzione delle causali nei contratti a tempo determinato. E ha lasciato libertà di voto sugli altri due quesiti.
Centrodestra: astensione strategica
Il centrodestra compatto – composto da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – ha scelto una linea chiara: invitare gli elettori a non partecipare, così da far fallire il raggiungimento del quorum del 50% più uno. Una scelta politica più che di merito, volta a disinnescare l’efficacia del voto popolare.
Giorgia Meloni ha annunciato che si recherà al seggio ma non ritirerà le schede, un gesto simbolico che, pur rispettando formalmente il rito democratico, contribuisce a vanificare il referendum. Anche i vicepremier Tajani e Salvini si sono espressi in favore della linea dell’astensione, lasciando intendere che l’assetto normativo attuale, pur perfettibile, non va scardinato per via referendaria.
Chi vota No
In aperta opposizione ai contenuti referendari c’è Noi Moderati, il partito guidato da Maurizio Lupi, che ha dichiarato voto contrario su tutti i cinque quesiti. Una posizione coerente con la propria visione conservatrice delle riforme sociali e istituzionali.