Oggi funziona così. Quando una ditta dà in appalto una parte del lavoro che deve svolgere, e questa a propria volta ne appalta una porzione a un’altra e quest’ultima ne affida una quota a un’altra ancora… e così via, cosa succede ai lavoratori? Succede che non sono “coperti” dall’azienda committente, la prima della catena per intenderci: se hanno un incidente, si infortunano o muoiono, possono chiedere un risarcimento solo ed esclusivamente all’impresa che li ha ingaggiati.

Nessuna responsabilità

Oggi il committente non ha nessuna responsabilità. Oggi se il lavoratore si fa male per i cosiddetti rischi specifici, al committente non può chiedere niente. È questo il meccanismo che vuole cambiare il quesito n. 4 dei referendum su lavoro e cittadinanza per cui siamo chiamati a votare l’8 e 9 giugno: fare in modo che l’azienda committente sia responsabile della salute e sicurezza delle persone che di fatto lavorano per lui e per un suo guadagno nella lunga filiera degli appalti, in solido con le appaltatrici, cioè insieme. Stiamo parlando di 4 milioni di lavoratori.  

Abrogare l’assenza di responsabilità

Il titolo della scheda rosso rubino è: “Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione”. La domanda: “Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, in tema di…bla bla?”

Due obiettivi nobili

Come per gli altri referendum, sempre di abrogazione si tratta: cancellare un pezzetto di una norma per inserire la responsabilità solidale, garantire un risarcimento a chi si infortuna e agli eredi di chi muore, in definitiva ridurre gli incidenti e i morti sul lavoro. Scopo nobile, nobilissimo, penserete voi. Peccato che maldicenti, denigratori e calunniatori non siano d’accordo. Vediamo perché e perché anche questa volta hanno torto.

È un principio inapplicabile

Lo sostengono le imprese: non è possibile applicare questo principio giuridico. Falso. Il principio esisteva già: la norma che stabiliva la responsabilità del committente in solido con l’appaltatore e il subappaltatore c’era nel testo unico sulla sicurezza (d.lgs. 81/2008) ma è stata abolita nel 2023 dal governo Meloni (con il decreto lavoro). Senza contare che nel settore pubblico si applica ancora, non è mai stata abolita. Il referendum la vuole solo ripristinare.

I committenti non possono sapere…

…se le aziende appaltatrici rispettano le leggi sulla sicurezza, cosa fanno, come si comportano. Altra critica fumosa. Chi dà in appalto una parte di un lavoro, può e deve sapere se l’impresa a cui si è rivolta segue le norme e se si attiene ai contratti nazionali di lavoro. Si deve servire di aziende serie e certificate in fatto di salute e sicurezza.

D’altronde, anche un bambino delle elementari sa che chi fa un intervento in quota, per esempio su un tetto, deve indossare il caschetto, calzare scarpe antinfortunistica, essere legato a una fune, non deve aver consumato alcoolici. Già con questi accorgimenti si eviterebbe l’80 per cento degli incidenti, secondo le statistiche Inail.

Quindi, niente scuse: è bene che il committente scelga aziende affidabili, perché se succede un incidente ne risponde anche lui, ci va di mezzo anche lui. Un meccanismo virtuoso che ridurrebbe gli infortuni sul lavoro, e di molto anche.

La normativa già prevede una responsabilità dell’azienda esecutrice

Sì, è vero, ma non basta. Non basta proprio. Negli appalti, ci insegnano studi e statistiche, si tende a risparmiare. Il committente risparmia, l’appaltatore risparmia, anche il subappaltatore risparmia. E su che cosa? Sul costo del lavoro e sulla salute e sicurezza, che hanno un costo, appunto.

Quasi 700 incidenti mortali sugli oltre mille del 2024 sono avvenuti lungo la catena degli appalti. Edili, lavoratori agricoli, della logistica, manutentori nelle fabbriche, lungo le strade. Spesso muoiono per scarsa formazione, per l’uso di macchinari obsoleti, attrezzature logore, per una sbagliata organizzazione del lavoro.

Con il sì al quesito referendario, il committente, oltre a rispondere degli infortuni ai lavoratori in appalto, selezionerebbe imprese solide e strutturate, verificherebbe la qualità dei mezzi e dei materiali usati, dalle impalcature al camion al muletto. Questo toglierebbe dal ricatto del massimo ribasso tanti lavoratori e tanti imprenditori seri.

Intervento sbagliato per un problema reale

Falso. La norma serve perché rafforza la legislazione sulla salute e sicurezza e perché a partire da questa i sindacati saranno più autorevoli nella contrattazione e nella partecipazione al sistema di prevenzione degli incidenti.

Più importante la recente norma che introduce:

  • La parità di trattamento economico e normativo

Non c’entra nulla. La norma recente a cui i detrattori fanno riferimento si occupa anche di trattamento economico e normativo negli appalti privati. Ma questo è un aspetto che non ha niente a che vedere con la salute e la sicurezza: afferisce solo al trattamento economico dei lavoratori.

  • La patente a crediti per qualificare le imprese e migliorare la sicurezza

La patente a crediti è pressoché inutile. È basata su una semplice autocertificazione dei requisiti e non ha permesso nessun miglioramento sul fronte degli infortuni sul lavoro. In caso di incidente anche grave, l’unica cosa che l’imprenditore deve fare per riottenere i crediti è un semplice corso di formazione.

Inoltre, è stata introdotta con un atto unilaterale del governo, fortemente criticata dai sindacati, che invece proponevano la patente a punti, con la quale si volevano escludere dall’accesso a tutti gli appalti, sia pubblici che privati, le imprese scorrette, attraverso il sistema dei controlli.