Le proposte
Per uno sviluppo ecosostenibile

Da tempo la Cgil ha assunto la sostenibilità ambientale, sociale ed economica come matrice delle proprie politiche ed elaborazioni. Adesso chiede che le risorse in arrivo dall'Europa vengano utilizzate per una "giusta transizione" per il lavoro
La crisi pandemica che stiamo attraversando non ha precedenti. Si tratta di una fase nuova che non può essere compresa e valutata ricorrendo a cicli storici precedenti e/o a tradizionali categorie economiche. Una crisi sanitaria, sociale ed economica che per l’incertezza rischia di indebolire ulteriormente o di distruggere tanti posti di lavoro oltre che prolungare la necessità di interventi straordinari di sostegno al sistema sanitario, economico e al lavoro.
È necessario partire dalla pandemia, perché oggi rivendicare lo sviluppo ecosostenibile significa affermare un modello che si caratterizzi per uno sguardo “etico”, che metta al primo posto i bisogni delle persone - la salute, l’istruzione, la qualità del lavoro – e dell’ambiente. Questo non è accaduto in passato, anzi nel corso degli ultimi venti anni il nostro Paese ha indebolito il sistema sanitario, il welfare e mercificato il lavoro, alimentando sfruttamento e impoverimento.
Anche per l’ambiente e il nostro territorio è accaduto tutto ciò. Basti ricordare - solo per esempio - l’incuria nella manutenzione del territorio, nella prevenzione dei rischi naturali e l’assenza di politiche strutturali di prevenzione sismica. Più in generale, il nostro Paese non ha mai assunto il tema della riconversione verde come tema centrale di politica economica e di trasformazione della società. Le mobilitazioni di giovani e giovanissimi nel 2019 sono state fondamentali per spezzare il silenzio attorno alla crisi climatica, e la scelta europea di destinare e condizionare le risorse straordinarie e ordinarie al green deal europeo ha imposto e impone all’Italia di fare delle scelte economiche e di investimento coerenti. Oggi affermare la necessità di cambiare modello di sviluppo, assumendo la riconversione verde e la decarbonizzazione come obiettivi di sistema e il benessere delle persone come misura delle politiche significa evitare interventi dallo "sguardo corto". Per andare oltre le affermazioni, dobbiamo avere la consapevolezza che la transizione ambientale interviene e interverrà profondamente nel nostro sistema economico e sociale, negli stili di vita, nel lavoro. Per questo oggi la Cgil chiede che non si proceda per spot o per misure frammentarie o isolate ma che si costruisca un sistema integrato di politiche green.
La decarbonizzazione dell’economia non riguarda solo ed esclusivamente l’aspetto energetico. Oltre a investire nelle fonti energetiche rinnovabili (fotovoltaico, eolico e idrogeno verde), allo stesso tempo è necessario avviare la riconversione green sul versante industriale, ripensare la mobilità delle persone e delle cose, i tempi e gli spazi delle città, il modello di turismo, di agricoltura nonché intervenire in maniera strutturale per l’efficienza degli edifici pubblici e privati. E ancora, il modello circolare dell’economia non può essere solo ricondotto alla mera gestione dei rifiuti, ma si estende alla stessa progettazione circolare dei prodotti e alla possibilità del loro reimpiego/riciclo. Non c’è un solo settore produttivo che non sia investito dalla riconversione verde, ed è evidente che il lavoro è e sarà centrale.
La Cgil ha da tempo senza ambiguità assunto la sostenibilità ambientale, sociale ed economica come matrice delle proprie politiche ed elaborazioni, prova ne sono le piattaforme e i documenti congressuali, la stessa vertenzialità messa in campo, allo stesso tempo, però, occorre evitare che ancora una volta siano solo ed esclusivamente i lavoratori e le lavoratrici a pagare il conto anche della crisi climatica. Per evitare ciò e per cogliere la grande possibilità che gli investimenti green siano fonte di crescita dell’occupazione, è necessario mettere in campo contemporaneamente una pluralità di interventi. La giusta transizione che chiediamo per il lavoro significa prima di tutto integrare e coniugare la dimensione sociale con la dimensione ambientale ed economica. Significa cioè prevedere e anticipare gli effetti dei settori più esposti, offrendo e creando opportunità di lavoro, proteggendolo e tutelandolo e riqualificandolo attraverso un piano imponente per le nuove competenze. Tutto ciò deve essere parte delle scelte di investimento e non un secondo tempo, come spesso è accaduto in questo Paese. In questo senso è fondamentale che lo Stato abbia un ruolo da protagonista nella gestione, nel coordinamento e nell’indirizzo delle politiche industriali e non assuma la funzione di semplice erogatore di bonus ed incentivi.
Ce la può fare un Paese che, negli ultimi venti anni, ha dimenticato la parola programmazione e che ha fatto pagare al lavoro gli effetti della crisi del 2008 in termini di riduzione dei posti di lavoro e dei diritti? Questa è la domanda alla vigilia della definizione degli obiettivi di Next generation Eu. La lettura delle bozze del Piano nazionale di ripresa e resilienza non è molto incoraggiante. Le scelte sono molto sottodimensionate rispetto all’obiettivo, gli strumenti per realizzare gli obiettivi sono bonus, incentivi e decontribuzione. Poca coerenza e scarso coordinamento, zero politica industriale. Che invece in questa fase sarebbe strategica, nella relazione e con il forte coordinamento delle grandi imprese pubbliche e non solo. Sugli obiettivi di decarbonizzazione, sembra avvenga esattamente il contrario, se sarà confermata la scelta di finanziare attraverso il Next generation – cioè attraverso le risorse pubbliche - alcuni progetti proposti e alquanto discutibili per gli effetti e per il reale impatto sull’abbattimento dei livelli di Co2.
Il nostro Paese non avrà una seconda occasione: per la prima volta possiamo contare su risorse importanti e il decennio che si apre tra pochi giorni dovrà essere finalizzato a un grande progetto di trasformazione economica e sociale. Per questo, oltre a rivendicare il diritto alla partecipazione e al confronto sulle scelte che l'Italia farà, occorre affermare che la qualità dello sviluppo e la qualità del lavoro non sono temi da contrapporre ma si nutrono dello stesso approccio al cambiamento del modello di sviluppo: coraggioso, radicale e concreto.
Gianna Fracassi è la vice segretaria generale della Cgil