La Ricerca in Italia è segnata da numeri negativi, lo rilevano tutti parametri: risorse pubbliche messe a disposizione, gli scarsi investimenti dei privati, il numero di ricercatori e la loro “fuga” all’estero, la dipendenza dall’innovazione e dalle scoperte scientifiche realizzate in altri Paesi, magari proprio dai ricercatore italiani “emigrati dal nostro sistema” e dalla scarsa qualità contrattuale. La pandemia, l’accelerazione globale nella trasformazione digitale e la transizione ecologica, ancora di più stanno evidenziando i ritardi del nostro Paese, tra arretratezza e scarsa considerazione della ricerca di base e la tendenza delle imprese ad utilizzare le risorse, anche quando pubbliche, per massimizzare i profitti piuttosto che investire in ricerca ed innovazione. 

L'impresa al centro
Il Pnrr già nel titolo della seconda componente della Missione 4, Dalla Ricerca all’Impresa da un taglio chiaro al tipo di ricerca che si vorrebbe. Si mette al centro l’impresa, la “ricerca pubblica” o di base sembra divenire quasi strumento sottoposto alle leggi di mercato o ai bisogni dell’impresa privata. È quindi per noi interessante analizzare alcune esperienze fatte in passato, nello specifico analizzare cosa è accaduto della “ricerca in innovazione tecnologica” negli ultimi 20/25 anni. È ormai da tempo che per l’innovazione digitale materiale ed immateriale, il nostro Paese dipende da multinazionali straniere, in molti casi americane o cinesi che impongono a livello globale un modello oligopolistico.

La domanda da porsi è se sia stato sempre così. Riteniamo interessante, anche per evitare il ripetersi di errori prodotti in passato, analizzare cosa abbia comportato sulla ricerca la privatizzazione o una “rimodulazione” delle imprese pubbliche in un contesto di “libero mercato”. Questo ci potrebbe aiutare, a ridosso degli investimenti del Pnrr, a indirizzare con oculatezza le politiche pubbliche e le politiche d’investimento di alcune grandi imprese italiane a controllo pubblico. In tal senso sono emblematiche le vicende di: Cselt, Reiss Romoli e Crits. Acronimi che segnano una storia della ricerca in innovazione tecnologica figlia del 900, ricerca ridimensionata, definita in molti casi un costo eccessivo, rinchiusa in ambiti sempre più marginali quando si stava già avvicinando la rivoluzione digitale.

Centro Studi e Laboratori Telecomunicazioni
Cselt nasce nel 1964 per volontà di Stet (Società Torinese per l’Esercizio Telefonico) al momento dell’incorporazione di tutte le aziende (provenienza IRI) in Sip. Per volontà della Stet il Centro passa da 100 a 500 ricercatori (1964/1990). Grazie a questo sviluppo in numeri e competenze guida le trasformazioni tecnologiche di quegli anni. Per farsi un’idea di cos’era il Cselt alle origini utilizziamo una intervista del 1985 all’allora direttore generale del centro: Basilio Catania. Il centro non ha obiettivi produttivi, ma di ricerca pura. In questo senso – riprendiamo le parole dell’articolo – gli studi vanno dall’intelligenza artificiale (in particolare la comunicazione tra uomo e macchina e tra macchina e macchina) alla comunicazione via satellite, dalla telemedicina alle fibre ottiche. Il direttore ricorda gli impianti pilota in fibra ottica curati dal centro stesso, a partire dall’isola ottica di Milano – prima linea urbana a livello mondiale - e cita con orgoglio l’accordo con i cinesi proprio per studiare le fibre ottiche. 
Una piccola chicca l’intervistatrice chiude citando questa sua previsione: in un futuro non lontano ognuno di noi avrà in mano una telecamera! Ripetiamolo siamo nel 1985! 

La nuova fase
Dal 1990 al 1997 si apre una fase di forte sviluppo con il passaggio dell’occupazione da 500 unità ad oltre 1250, con all’interno un forte turn over occupazionale. Non a caso le assunzioni annue oscillano sulle 150/200 unità. Viene modificato il sistema di finanziamento del Cselt da parte della Stet e delle sue consociate nel settore. Il 30% è finanziato a Budget, il restante 70% il centro deve procurarselo tramite ordini imputati a specifiche attività ordinate dalle società del gruppo. Questo sposta gli interessi verso le funzioni di progettazioni al servizio della Business Unit e del marketing, ma senza chiudere le altre attività. 

Conseguentemente cresce l’impatto delle tecnologie di servizio, ma si sviluppa anche lo studio di Internet/IP e delle piattaforme. 
Due esempi per documentarlo: 1) tra la seconda metà degli anni 80 il Cselt sviluppa il sistema Rasputin per la gestione del Radio Mobile, che viene adattato nel corso degli anni ‘90 al sistema Tacs per diventare verso la fine dei ’90 Timplan. Sistema che consente la creazione della rete mobile Tim ed è completamente realizzato all’interno 2) Nel luglio 1994 viene inaugurata la prima rete a larga banda italiana, in tecnologia ATM, che si connette all’European ATM Pilot per fornire servizi a larga banda end-to-end attraverso l’Europa.

L'epoca delle privatizzazioni
Si imponevano due mantra gemelli: i costi eccessivi della ricerca e lo “chiede l’Europa”. Anche se – ma non è questa la sede - su quest’ultimo aspetto ci sarebbe molto da dire visto la storia parallela, ad esempio, delle Telco tedesca e francese. È del 15 luglio 1997 la fusione Stet-Telecom. Lo smantellamento delle attività di ricerca parte in sordina, in un periodo contrassegnato da continui cambi sia della compagine azionaria, all’inseguimento della public company, che degli amministratori di vertice. 

Agli inizi del 1999 parte l’Opa dei capitani coraggiosi
Nel 2000 nasce Tilab. In realtà la stagione di Colaninno dura poco, fino al Luglio 2001. Si trova comunque il tempo di iniziare la vendita delle parti pregiate. L’attività di sviluppo delle fibre ottiche e della componentistica opto elettronica viene prima scorporata e poi ceduta, nel 2000, alla Agilent Technologies, che peraltro dismetterà le fibre ottiche l’anno successivo. A gennaio del 2001 la parte di ricerca sulle tecnologie vocali viene separata formando la Loquendo, che nel luglio del 2011 è ceduta alla società Usa Nuance Communications. Al momento della vendita, Loquendo è stabilmente in attivo di bilancio, con 65% di fatturato dovuto al commercio con l'estero. La ricerca satellitare viene semplicemente chiusa.
Come si dice Nomen omen, nel passaggio da Centro Studi e Laboratori al più semplice Laboratori non si perdono grandi numeri nell’occupazione, ma si perde la ricerca, passando a una tecnologia applicata anche se spesso innovativa. 

Cambi virtuali
Il resto è una storia di passaggi di proprietà e di blocco delle assunzioni.  Con cambi di nome e di mission spesso solo sulla carta, per non parlare delle frequenti e costose consulenze organizzative. Celebre il caso dell’inglobamento nell’ingegneria di rete della Telecom, seguita alla gestione Pirelli. Il nome Tilab scompare per ricomparire dopo solo 8 mesi! Una storia parallela alla trasformazione di una delle maggiori società del mondo in uno degli n operatori di rete mobile, in cui la rete fissa è una commodity.  D’altronde c’è una storia parallela che non riguarda la ricerca ma la formazione.  La Stet crea nel 1976, la Scuola Superiore Guglielmo Reiss Romoli all’Aquila per le proprie attività di formazione. I due enti non avevano solo in comune molti dirigenti, ma una vocazione alla innovazione e all’eccellenza. 

La nascita di Telecom
Alla fine del 2000 nasce Telecom Italia Learning Services e la sede legale viene spostata da L’Aquila a Milano. Telecom Italia approfittò di questa operazione di riassetto per inserire nell’organico di Telecom Italia Learning Services numerosi dirigenti e quadri di cui voleva alleggerirsi, con un pesante aggravio sul conto economico della nuova azienda. Seguono anni discutibili sia dal punto di vista della gestione che degli investimenti.  
Nel luglio del 2006 Telecom Italia Learning Services è ceduta alla cifra simbolica di 1 euro ad una New Co, TILS Holding, partecipata al 70% da Cegos Italia spa e al 30% da Camporlecchio Educational srl. Cegos e Camporlecchio ottengono da Telecom Italia commesse per attività formative per la durata di 4 anni per un totale di circa 92 milioni di euro, di cui oltre 20 milioni di euro a fondo perduto per investimenti e copertura di costi. Dopo pochi mesi la Cegos Italia scende nella proprietà dal 70% al 20% rivelando la finalità tutta finanziaria dell’operazione di cessione di Telecom Italia,  il risultato ultimo è la perdita di centinaia di posti di lavoro e la chiusura dell’attività. La fine della vicenda arriva con la liquidazione della società nel 2009. Liquidazione che si completerà solo l’anno scorso, dopo un breve periodo di affitto all’Università dell’Aquila, con la vendita a privati immobiliaristi degli edifici della società.

Centro Ricerca, Innovazione Tecnologica e Sperimentazione (Rai) 
È a Torino che, alla fine del ’29, nascerà quello che oggi si chiama Crits e allora Laboratorio per la Televisione. L’esigenza è quella di trovare un raccordo tra l’allora nascente industria degli apparati e la necessità di trasformare la teoria del sistema radiotelevisivo in mezzi tecnici per la produzione e messa in onda dei programmi; esigenza che necessitava di personale tecnico altamente specializzato e competente nel campo della radiodiffusione. A partire dal 1930, infatti l’Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), prima Uri (Unione Radiofonica  Italiana) attiva dal 1924  e anticipatrice dell’attuale Rai, conta sulla presenza a Torino, in Via Arsenale 19 del primo nucleo di un Laboratorio Ricerche (50 tra ricercatori e tecnici). Le prime trasmissioni di televisione quindi si svolgono a Torino, dove viene allestito il primo studio televisivo in Via Montebello e da qui le immagini vengono irradiate attorno a Torino e fino a Milano. Negli anni ’50, intanto, il numero delle persone impiegate al Laboratorio era aumentato fino a raggiungere le ottanta unità. Nel primo dopoguerra, il Centro sviluppa uno dei primi ponti radio mobili e nel 1956, la filodiffusione. Nel febbraio del 1961, anche per la trasformazione dell’attività del Laboratorio Ricerche della Rai, da vecchio Laboratorio - Officina a quella di studio e di progettazione di prototipi di apparecchiature rese necessario il trasferimento nella nuova sede di Corso Giambone. Vi lavoravano circa 150 ricercatori che formavano il nucleo consolidato ed esperto ed in più ci si avvale, anche grazie a progetti internazionali, della collaborazione dell’Università di Torino, il Politecnico e altri Enti di Ricerca. 

Verso la televisione a colori
In quegli anni il Centro è coinvolto nell’attività internazionale per scegliere lo standard della TV a colori, che si concluderà con l’adozione per l’Italia del sistema Pal. Negli anni ’70 e precisamente nel 1977, viene introdotto il colore e dopo un periodo di adeguamento e trasformazione di tutti gli impianti. In questi stessi anni, continua lo studio della TV satellitare e con la Conferenza di Pianificazione del 1977 (Warc ’77), si definiscono i parametri di sistema della diffusione diretta all’utente. Un’altra pietra miliare del Centro Ricerche è rappresentata dal Televideo, la prima embrionale forma di TV interattiva. Diventerà operativo come servizio a partire dal 1984.

In ambito radiofonico, sempre nello stesso periodo, si brevetta, realizza e sviluppa l’Isoradio, tecnica diffusiva in isofrequenza che dal 1987 è operativo come servizio sul tratto appenninico Bologna-Firenze e permette la copertura continua di lunghi percorsi autostradali, compresi i tratti in galleria e utilizza diversi trasmettitori contigui che operano su un’unica frequenza in banda MF.  Il Centro Ricerche RAI ha collaborato ai progetti sulla tv digitale verso la fine degli anni ’80 definendo l’algoritmo di codifica e compressione del segnale televisivo, la cosiddetta trasformata ibrida DCT (Discrete Cosine Transform), che tre anni più tardi sarebbe stato alla base del ben noto standard Mpeg-2. Con Italia '90 (Campionati Mondiali di Calcio) si sperimenta la vera novità, concepita, sviluppata e coordinata dal Centro Ricerche RAI, basata, per la prima volta nel mondo, su un sistema di trasporto del segnale Hdtv via satellite interamente digitale. Le immagini di prova Hdtv realizzate dal Centro, vennero poi utilizzate in tutto il mondo per i test sui sistemi di codifica. Grazie alla sperimentazione di “Italia ‘90”, la TV digitale per l’utente domestico divenne realtà. Di seguito nacque il Consorzio Dvb e nel 1996, il sistema di TV digitale terrestre.

Negli anni 2000 il Crits è coinvolto nella definizione dei più efficienti sistemi di seconda generazione Dvb-S2 e Dvb-T2, che prevedono anche nuovi e più avanzati i sistemi di codifica video adatti al trattamento dell’Alta Definizione, realizzando anche svariati brevetti internazionali che costituiscono un valore strategico e una fonte non trascurabile di ricavi per la Rai. Il Crits è poi coinvolto, insieme alle altre Direzioni aziendali e a RaiWay, nella transizione dalla tv analogica alla tv digitale terrestre (switch off 2008-2012), che rende possibile un incremento del perimetro editoriale dell’offerta dei programmi e della qualità dei servizi. In questi anni si sperimentano anche le nuove tecnologie per l’alta definizione, l’Uhad/4K e l’Hdr. Contestualmente il Criits è tra gli attori principali nella progettazione del Catalogo Multimediale delle Teche e successivamente nella realizzazione delle catene di digitalizzazione degli Archivi Rai. 

Intelligenza artificiale
Inoltre, negli ultimi anni si sviluppano notevoli competenze nell'ambito delle applicazioni dell'Intelligenza Artificiale e nei processi di informatizzazione delle tecnologie di produzione televisiva con la prospettiva di un progressivo passaggio al mondo IP e al cloud. Si provano sul campo soluzioni tecniche per  la distribuzione dei contenuti su nuove piattaforme come il  5G e servizi Ott su rete a larga banda e, grazie agli avanzamenti tecnologici nello sviluppo di applicazioni basate sugli standard Mhp e HbbTV, il Crits rende accessibili sulle TV connesse applicazioni come RaiPlay che permettono alla Rai di presidiare l’offerta di contenuti Ott. La storia del Crits è stata certamente importante nel sistema radiotelevisivo del nostro Paese, almeno sino al termine degli anni ‘90 è stato soggetto capace di anticipare ed indirizzare le politiche di innovazione del settore.  Successivamente, anche se rimasto parte della Rai e quindi non subisce le sorti nefaste di altri centri ricerca, sembra comunque subire gli effetti delle “liberalizzazioni” o, nello specifico, del contesto politico e commerciale figlio del duopolio televisivo. 

Come accaduto per altri centri di ricerca subisce un ridimensionamento, minori risorse e riduzione di organico (si passa dai 180 ricercatori degli anni ‘90 agli attuali 50), condizione che oggi, anche in ragione del passaggio da un sistema industriale operante su scala nazionale ad un contesto tecnologico globale guidato dai gruppi multinazionali, non consente al Centro di determinare tutte le scelte tecnologiche aziendali. Vogliamo però continuare a pensare che essendo il Crits parte del Servizio Pubblico Radiotelevisivo e Multimediale lo si ricominci a valorizzare per sostenere l’innovazione e la ricerca nel settore, per non perdere il posizionamento nel contesto tecnologico globale passando da partecipanti all’evoluzione delle innovazioni nel mondo dei media a puri utilizzatori, per non rinunciare ad un luogo di coinvolgimento di giovani laureati e ricercatori che potrebbero segnare un futuro di crescita e sviluppo per il Paese.

Vizi italiani 
Viste queste esperienze complesse e diverse si potrebbe affermare che la miopia delle “privatizzazioni” o delle liberalizzazioni all’italiana, il considerare la “ricerca” un costo da esternalizzare o da dismettere hanno impedito al nostro Paese, soprattutto in quest’ultimo ventennio, di anticipare le trasformazioni, condizione non dissimile da quella che si sta vivendo oggi nel settore dell’automotive e che si rischia, a breve, di vivere nel settore energetico in forza della c.d. “transizione ecologica”. Ancora una volta bisogna interrogarsi sia sul peso della crescente finanziarizzazione delle società che modifica le previsioni sui tempi di rientro degli investimenti penalizzando quelli in ricerca, sia sul ruolo del pubblico e delle società che controlla rispetto alle politiche di sviluppo ed innovazione del Paese.

Carmelo Caravella fa parte della Consulta industriale Cgi, direttivo Crs
Alessio De Luca, Cgil responsabile riconversione green e ricerca, Coordinatore Idea Diffusa per l’Ufficio Lavoro 4.0