L’arte nazionale del riciclo creativo colpisce ancora. Stavolta tocca al poeta di Casarsa, riesumato come trofeo da Fratelli d’Italia nella solennità vellutata della Biblioteca di Palazzo Madama. Lì va in scena il convegno “Pasolini conservatore”, chiusura affidata a La Russa in persona. Sembra una seduta spiritica condotta da chi ieri lo inseguiva con la bava alla bocca e oggi pretende di adottarlo come nonno di famiglia.

Chi conosce la storia ricorda i finocchi volanti del barone Staiti. Ricorda la stampa missina che trattava lo scrittore friulano come contaminazione morale. Ora gli stessi ambienti tentano un abbraccio postumo che sa di rigurgito. L’Italia ama i miracoli. Ma qui si rasenta l’imbalsamazione spacciata per omaggio. Si prende un irregolare allergico ai dogmi e lo si infila in un tailleur ideologico, sperando che non si noti lo strappo.

Partono le rassicurazioni. Nessuna appropriazione. Solo confronto. Relatori bipartisan. Titolo pensato per stimolare. È il solito rosario recitato quando si vuole addolcire il veleno. Poi però spunta il presidente del Senato a benedire il tutto. La profondità culturale diventa scenografia da sagra identitaria. Un siparietto che odora di naftalina più che di pensiero.

Gli intellettuali oscillano tra disgusto e rassegnazione. L’autore corsaro era problematico. Certo. Ma la questione è il travestimento. Si prende chi denunciava il fascismo del consumo e lo si consegna come stendardo a chi sogna un pantheon liscio come una cerata nuova. Il ribelle viene promosso a mascotte di calendario, con la stessa naturalezza con cui si mette un cerotto su una frattura.

La sinistra lo ha smarrito. La destra lo vuole nel proprio album. Il risultato è un Paese che scambia la complessità per un’etichetta. Pasolini sorride da qualche parte. Osserva la processione che si accapiglia sul suo nome. E continua a profetizzare. Anche quando viene convocato come santo patrono di una memoria che gli andrebbe molto stretta.