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Al Teatro Carcano di Milano, fino ad oggi (23 novembre) Natalino Balasso porta in scena una rilettura di Santa Giovanna dei Macelli di Brecht. L’algoritmo è il nuovo volto del capitalismo, che sfrutta i lavoratori, isola le persone, disintegra le comunità.Un padrone meno fisico ma più crudele, un superuomo economico senza un pensiero vero, senza eccellenze intellettuali, senza profondità artistiche, semplicemente una perfetta macchina da soldi. Natalino Balasso è autore della drammaturgia, oltre che protagonista dello spettacolo, per la regia di Andrea Collavino.
Natalino Balasso, da Santa Giovanna dei Macelli a Giovanna dei Disoccupati. Corsi e ricorsi storici tra due epoche molto simili a un secolo di distanza?
La storia torna sempre truccata diversamente, certamente l'idea di scrivere una nuova drammaturgia è venuta dal fatto che l'economia e la finanza oggi sono molto più complesse e stratificate di quelle dei tempi di Brecht. In questo nuovo racconto, in cui ho mantenuto i nomi dei personaggi originali, entra pesantemente la virtualità: sempre più le persone lavorano e lavoreranno per conto di algoritmi. Un lavoro spersonalizzante, che erode i rapporti tra lavoratori e datori di lavoro e facilita lo sfruttamento.
Viviamo una fase economica parossistica, in cui alle persone viene chiesto di addestrare l’intelligenza artificiale che le licenzierà.
Questa è l'ironia della sorte. Non ci rendiamo conto di tutto il lavoro gratuito che mettiamo a disposizione di questo mondo, in cui qualcuno guadagna molto, qualcuno meno e qualcun’altro niente. Questo è uno dei motivi per cui ho scelto di cancellare Instagram dal mio telefono: quando riempiamo la nostra nostra pagina social di contenuti, in realtà stiamo riempendo la borsa di qualcuno, per il quale quei contenuti diventano profitto. Per noi utenti è un passatempo, eppure ci occupa talmente tanto la mente che non ci resta più né spazio né tempo per leggere e per pensare: quelle due ore al giorno che in media le persone passano sui social, in realtà sono fatica mentale.
Natalino, la sua Giovanna Darko, con la K, è un’eroina che si oppone al capitalismo tecnologico, ma viene in qualche modo risucchiata dalla comunità social-sociale, che si rivela ingannevole.
L'inganno dei social è proprio questo: pensare di aver costruito una comunità, uno spazio di libertà, che invece è uno spazio di solitudine. Inoltre, quando il lavoro artistico abbraccia l’ambiente capitalistico, non può che piegarsi alle regole della produzione industriale. Le major, per esempio, non sono altro che la versione capitalistica dell'arte. Questo, oltre ad uccidere il talento e a crearne di fasulli, finisce per abituare la gente a una media. Per esempio, io non sono affatto d'accordo che oggi il cinema di Hollywood sia quello più interessante, eppure questa è l’opinione diffusa, perché l'industria domina l'informazione. La nostra Giovanna è un’umanista, alla disperata ricerca di relazioni reali, che crede nel rapporto umano, nel dialogo. Fa la speaker in una radio e prova a parlare direttamente con “i padroni dei social” contro cui poi lotterà.
Accostando i due testi, quello di Brecht e il suo, c’è un personaggio che sopravvive a tutto e tutti: il capitalismo.
Sì, il capitalismo è il sistema socio-economico con la storia più lunga, sopravvive a tutto perché trova il modo di trasformarsi a seconda di come evolve la società, cambia pelle. In genere le società stesse generano anticorpi, ma a volte gli anticorpi impazziscono e creano tumori. Ad ogni azione corrisponde una reazione, e se riuscissimo un po’ di più ad andare in profondità – come diceva Jung – smetteremmo di chiamare destino quella che è invece è la scelta che lasciamo fare al nostro subconscio.
L’algoritmo, tuttavia, non è ne buono né cattivo, è uno strumento da governare. Lei pensa che il lavoro attoriale sia minacciato dall’intelligenza artificiale o, al contrario, ne possa trarre un qualche vantaggio?
Io credo che l’intelligenza artificiale non potrà mai interferire con il teatro, perché è l'unica forma d'arte che prevede contemporaneità di viventi e di esseri senzienti, cioè devono esserci persone vive sul palco e persone vive in platea. Sì, si possono usare gli ologrammi in scena, ma il pubblico non viene a teatro per vedere la virtualità sul palco. Ci viene per sentire la gente che respira. Non credo ci sia un’espressione più calzante di “dal vivo”. Certo l’IA a livelli elevati può essere molto sofisticata, ma io non ne ho ancora trovata una capace di scrivere una sceneggiatura con del talento.
A proposito di autori, parliamo della sua rivisitazione di Brecht “scritta sotto dettatura”, come lei stesso la definisce. Come ha affrontato questo lavoro drammaturgico?
Brecht è uno dei miei autori preferiti, l'ho letto in lungo e in largo per tutta la mia vita e ho aspettato di avere 65 anni prima di affrontarlo, per una sorta di timore reverenziale. La cosa che mi ha spinto, nello specifico, è stato leggere i quaderni di Brecht, e dunque il modo in cui interpretava la realtà. Nei suoi spettacoli tentava di instillare la speranza nella risoluzione dei problemi del lavoro attraverso il comunismo, mentre io oggi credo che anche quell’ideale abbia fallito, nella sua applicazione concreta. Però mi sono chiesto dove avrebbe posato lo sguardo Brecht se si fosse guardato intorno oggi, e ho pensato che il nostro mondo “macellante”, sia quello dei social: il miglior macello per i cervelli, in cui il gregge viene dominato dai magnati della tecnologia. Oggi la comunità di lavoratori del web è fatta di invisibili, mentre in una fabbrica noi vediamo le persone che entrano dai cancelli, non sono una massa materica non identificabile. E invece i nuovi invisibili lavorano da casa, o in uffici nascosti. Fanno le consegne, o sono autisti. E tutte queste persone vengono assunte e poi schiavizzate attraverso un algoritmo.


























