Ogni volta che si pronuncia la parola “sesso” in Parlamento, l’aula si trasforma in un confessionale isterico. Deputati che arrossiscono, ministri che fuggono “per impegni istituzionali”, moralisti che chiedono il permesso ai genitori come se la biologia fosse una bestemmia. Nel Paese dove si declama D’Annunzio prima di spiegare come nasce un bambino, l’educazione sessuale resta tabù, materia proibita e concessa solo col timbro familiare.

Alla Camera va in scena un remake del solito film: la scienza contro la superstizione, la libertà contro il paternalismo. La Lega, dopo aver messo il veto alle medie, ora concede il via libera “con consenso”. È il trionfo del permessivismo moralista: la conoscenza diventa sospetta, la curiosità un reato amministrativo. In compenso nessuno chiede il consenso per la pornografia che educa di nascosto o per la violenza che scorre in prima serata.

Poi arriva Valditara, indignato perché qualcuno osa collegare ignoranza e femminicidi. Si offende dell’accusa ma non del problema. Così il Parlamento sprofonda nel solito teatro dei pudori a senso unico: qui “femminicidio” è parola oscena, “femminicida” quasi un mestiere. E mentre il ministro predica decoro, il Paese si spoglia di ogni vergogna.

La deputata Appendino rompe però l’incantesimo: “Il sesso lo facciamo tutti”. E in quell’aula, che si diverte come un collegio di preti adolescenti, la frase suona rivoluzionaria. Perché in Italia amare è ancora un atto sovversivo, capire il corpo un privilegio, educare un rischio politico.

L’educazione sessuale, in fondo, è democrazia applicata al desiderio. Ma la destra dei rosari preferisce la paura all’autonomia. Teme il consenso perché costringe al rispetto, la conoscenza perché rovina il dogma. Così l’Italia resta vergine d’intelligenza e fedele solo alla sua morale di cartapesta.