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Stavolta non è la brutta, sporca e cattiva Cgil a lanciare l’allarme, ma Confesercenti, che ora parla con la crudezza di chi ha contato gli euro uno a uno e scoperto che il potere d’acquisto ha fatto la fine delle lucciole d’estate, sparite mentre tutti fingevano di vederle ancora brillare.
In questa caduta collettiva s’infila il dumping contrattuale, caricatura feroce della concorrenza. Una liturgia di contratti pirata che si appropria di miliardi e si comporta come un parassita elegante: si nutre del lavoro, alleggerisce lo Stato e intanto saluta con garbo. Una zavorra che ci ostiniamo a chiamare flessibilità e che sembra più un invito al saccheggio.
Le città, intanto, si svuotano in silenzio. Forni e macellerie cedono il passo a strade dove l’unico presidio è il furgone del corriere. La rarefazione dei negozi somiglia a un presagio, un paesaggio dove l’odore del pane viene sostituito dal fruscio del pluriball. Una geografia spenta che lascia interi comuni senza un luogo dove comprare una mela.
Mentre tutto questo accade, il digitale avanza con la grazia di un gigante che non sente il peso dei propri passi. Le piattaforme globali macinano pacchi a miliardi e schiacciano con naturalezza chi tenta di resistere con un’insegna e un registratore di cassa. Si celebra l’innovazione, ma il fisco continua a incassare briciole da chi fattura come un continente.
Così il 2034 rischia di diventare il nostro anno zero del commercio di prossimità. E sarebbe ironico, quasi poetico, se non fosse tragico. Perché un paese pieno di pacchi e povero di botteghe è un paese che rinuncia alla propria spina dorsale. E a quel punto non servirà più lanciare allarmi, basterà ascoltare il rumore delle serrande che non si alzano più.






















