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Pare che l’alta moda italiana abbia scoperto la sua anima proletaria proprio dove sperava di occultarla meglio: nei seminterrati delle filiere, tra macchine scassate e contratti che evaporano al primo raggio di sole. La Milano scintillante che sfila in passerella ora inciampa su 203 operai spremuti come fossero bottoni difettosi. Una piccola crepa, dicono, e intanto dagli atti emergono numeri che si aggrovigliano come fili di un tessuto cucito al buio.
Il bello è che la filiera sembra una cattedrale gotica rovesciata, dove ogni arco porta a un subappalto e ogni navata a un laboratorio che funziona a orari degni di una frontiera senza legge. Perle e paillettes si appoggiano su turni infiniti, mentre i bilanci dei marchi s’intonano litanie di etica e sostenibilità. Nessuno azzarda domande, tutti sorseggiano il tè delle buone intenzioni.
La vicenda toglie la maschera al rito del made in Italy, che sventola bandiere d’orgoglio mentre scarica la fatica sui soliti invisibili. Le carte della Procura raccontano una geografia di scantinati dove si confeziona lusso a cottimo. L’ironia è che la moda ama parlare di empowerment, ma solo se resta confinato nelle campagne pubblicitarie.
Gli studiosi spiegano che la filiera assomiglia a un pianeta impazzito, con traiettorie che si incrociano in ogni punto e una rete così fitta da far arrossire perfino i teorici del caos. Nessuna azienda si salva davvero, a quanto pare, perché tre livelli di distanza bastano a trascinare tutti nello stesso vortice. Difficile pretendere che la seta resti immacolata quando il telaio è immerso nel fango.
Resta la domanda più scomoda: quanti gradi di separazione servono per sentirsi davvero responsabili? I brand rispondono con audit, codici etici, promesse lucide come vetrine di via Montenapoleone. Eppure, dietro ogni borsa esposta, c’è almeno un’ombra che chiede di essere vista. Il lusso non ama gli specchi troppo nitidi, ma questa volta rischia di vedersi per ciò che è. Una bellezza che si regge su mani stremate, e che finge stupore quando il filo diventa una corda.






















