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Nel teatrino della concertazione all’italiana, i metalmeccanici hanno deciso che la pazienza è un lusso che non possono più permettersi. Il contratto nazionale è scaduto da quasi un anno, ma Federmeccanica e Assistal si comportano come se il tempo fosse una variabile astratta. Il tavolo di trattativa è scomparso e le parti datoriali lo usano per giocare a burraco. E allora oggi si sciopera: otto ore secche. Perché anche un bullone, se lo stringi troppo, fa saltare l’ingranaggio.
Non si tratta di spiccioli, ma di dignità. I salari evaporano più in fretta dell’acqua sulle presse roventi. Gli straordinari sono diventati l’unica regola certa. La sicurezza è un lusso e il rispetto una chimera. I lavoratori non sono una voce a margine del bilancio, ma chi lo rende possibile. Solo che a chi firma i contratti interessa più l’utile trimestrale della vita reale in fabbrica.
Le controparti, però, sembrano affette da una forma acuta di sordità contrattuale. Niente convocazioni, niente aperture. Forse aspettano che il contratto si rinnovi da solo, come l’abbonamento streaming. Ma questa volta il buffering è finito. Il segnale è chiaro: se non si riapre il tavolo, si ferma tutto.
Lo sciopero, in fondo, è un atto d’amore verso un sistema che rischia di scivolare nell’irrilevanza. Perché senza un contratto serio, l’industria finisce nel museo delle occasioni perdute. E se chi guida fa finta di non vedere il cruscotto lampeggiare, fanno bene gli operai a tirare il freno a mano.
Ma quanto pensano di resistere ancora, Federmeccanica e compagnia, a far finta di nulla? Perché se c’è una certezza è che i metalmeccanici, quando s’incazzano, non fanno fumo. Fanno rumore. E se oggi questo Paese vibrerà di manifestazioni, sarà perché il silenzio, da troppo tempo, non serve più.