Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti, deputato e segretario del Partito socialista unitario, viene rapito sul lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma e ucciso. Benito Mussolini ne ordina la morte per mettere a tacere le sue denunce di brogli elettorali attuati dalla dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e le sue indagini sulla corruzione del governo.

Il 13 giugno Filippo Turati dà in Parlamento la notizia della sua scomparsa. Per protesta contro il rapimento del deputato socialista, tutta l’opposizione parlamentare si ritira sul cosiddetto Aventino.

Il 26 giugno 1924 circa 130 deputati d’opposizione (popolari del Ppi, socialisti del Psu e del Psi, comunisti del Pcd’I, liberaldemocratici dell’Opposizione costituzionale e del Psdi, repubblicani del Pri e sardi del Psd’Az) si riuniscono nella sala della Lupa di Montecitorio, decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito della scomparsa di Giacomo Matteotti.

Le motivazioni dell’abbandono saranno spiegate da Giovanni Amendola sul Mondo: “Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. (…) Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l’illegalismo, esso è soltanto una burla”.

“Veramente - scriveva già nel novembre precedente - la caratteristica più saliente del moto fascista rimarrà, per coloro che lo studieranno in futuro, lo spirito ‘totalitario’, il quale non consente all’avvenire di avere albe che non saranno salutate col gesto romano, come non consente al presente di nutrire anime che non siano piegate nella confessione: ‘Credo’. Questa singolare ‘guerra di religione’ che da oltre un anno imperversa in Italia non vi offre una fede (…) ma in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza - la vostra e non l’altrui - e vi preclude con una plumbea ipoteca l’avvenire”.

Avversario deciso del ministro Gentile e della sua riforma scolastica, nell’aprile 1925 Amendola si farà promotore insieme a Benedetto Croce del manifesto degli intellettuali antifascisti, pubblicato sul Mondo il 10 maggio.

Picchiato gravemente a Roma, e poco dopo nuovamente fra Montecatini e Pistoia, riporterà molte ferite dalle quali non si riprenderà più. Trasportato a Parigi, morirà a Cannes nell’aprile 1926, tumulato sotto una lapide che recitava: “Qui vive Giovanni Amendola... aspettando” (solo nel 1950 la salma fu traslata in Italia e collocata nel Cimitero di Poggioreale a Napoli).

“Sappiamo di lavorare per una causa giusta”, diceva: “Se anche noi dovessimo cadere, non per questo la nostra lotta sarebbe meno giustificata e meno necessaria. Ma sappiamo anche che la causa giusta per cui lottiamo coincide con le necessità e le ragioni della vita che alla lunga prevalgono sopra qualunque calcolo artificioso dell’uomo”.