Il 24 maggio del 1916 nasceva a Cinisi, in Sicilia, Felicia Bartolotta, primogenita di tre figli (suo padre era impiegato al comune di Cinisi, sua madre casalinga). Nel 1947 Felicia sposa Luigi Impastato, piccolo allevatore che durante il fascismo era stato inviato tre anni al confino per mafia, imparentato con il capomafia del paese Cesare Manzella, morto in un attentato nel 1963. Dal matrimonio, che la donna aveva tentato di evitare quando aveva saputo dell’appartenenza mafiosa di Luigi, nascono tre figli: Giuseppe detto Peppino, Giovanni, morto a soli 3 anni, un terzo bambino, chiamato anche lui Giovanni.

Nato il 5 gennaio del 1948, durante gli anni del liceo, nel 1965, Peppino aderisce al Psiup e fonda il giornalino L’idea socialista. Su questa pubblicazione racconta, tra l’altro, la marcia della protesta e della pace voluta da Danilo Dolci nel 1967. Il giornale viene sequestrato dopo pochi numeri e Peppino, lasciato il Psiup, inizia a collaborare con i gruppi comunisti locali, occupandosi in particolare delle battaglie dei disoccupati, degli edili e soprattutto dei contadini, che si vedono privati dei loro terreni per favorire la realizzazione della terza pista dell’aeroporto di Palermo proprio a Cinisi.

Dopo aver dato vita al circolo “Musica e cultura”, con il boom delle radio libere Peppino decide di fondarne una propria a Cinisi: Radio Aut. Nel programma Onda Pazza prende in giro i capimafia e i politici locali: il suo bersaglio preferito è don Tano Badalamenti (soprannominato Tano Seduto), erede del boss Cesare Manzella e parente di suo padre Luigi. Nel 1978 Peppino decide di candidarsi alle elezioni comunali del suo paese nella lista di Democrazia proletaria. Assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio a soli 30 anni, risulterà comunque eletto il 14 maggio con 260 voti. Stampa, forze dell’ordine e magistratura considerano in un primo momento la morte di Peppino Impastato conseguenza di un atto terroristico suicida.

Recita il fonogramma del procuratore capo Gaetano Martorana, poche ore dopo la scoperta dei resti: “Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda. … Verso le ore 0.30 – 1 del 9 maggio 1978, persona allo stato ignota, ma presumibilmente identificata in tale Impastato Giuseppe … si recava a bordo della propria autovettura Fiat 850 all’altezza del km. 30 + 180 della strada ferrata Trapani – Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore”. Contemporaneamente, però, comincia a delinearsi un’altra storia e la matrice mafiosa del delitto viene individuata anche grazie all’attività del fratello di Peppino, Giovanni, e della madre, che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa e rendono possibile, in virtù della documentazione raccolta e delle denunce presentate, la riapertura dell’inchiesta giudiziaria.

Peppino Impastato è stato assassinato - scrivono su un manifesto - Il lungo passato di militante rivoluzionario è stato strumentalizzato dagli assassini e dalle ‘forze dell’ordine’ per partorire l’assurda ipotesi di un attentato terroristico. Non è così! L’omicidio ha un nome chiaro: mafia”. Lo scrivono. Lo gridano. Lo dimostrano. Le indagini sulla morte di Peppino Impastato, infatti, si concluderanno nel 2002 con la condanna all’ergastolo di Tano Badalamenti, poi deceduto nel 2004. “È il primo compleanno che vivo con la pace nel cuore”, dirà il 24 maggio 2002 mamma Felicia, festeggiando i suoi ottantasei anni.

Scriveva la giornalista de l’Unità Sandra Amurri in un articolo del 2004 sulla morte di Badalamenti: “È ancora viva nella memoria dei cronisti che hanno assistito al processo, quella piccola donna, che gli anni hanno reso curva, vestita di nero, mentre saliva sul pretorio accompagnata dagli avvocati per rendere la sua coraggiosa testimonianza. Don Tano la osservava, muto, in video conferenza, mentre se ne stava seduto in una stanza del carcere americano”.

Il magistrato Franca Imbergamo ricorderà così quel momento: nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo: “Era un momento storico perché abbiamo assistito al riconoscimento da parte di una madre coraggio e alla capacità delle istituzioni di darle una risposta. Era commovente ed emozionante perché Felicia portava con sé il dolore più grande per una donna, quello di vedere ucciso un figlio. E poi c’era in collegamento dagli Stati Uniti, in video, Gaetano Badalamenti, che la osservava. Abbiamo scritto secondo me una pagina di storia, della storia della lotta alla mafia”. Una storia scritta soprattutto grazie ad piccola grande donna, la prima - in Italia - a costituirsi parte civile in un processo di mafia.