Nell’attuale sistema politico il partito è oggetto ampiamente screditato. Se poi è un partito di sinistra, la sua capacità di leggere il contemporaneo risulta praticamente inesistente: il campo viene lasciato al capitalismo che resiste anche alla crisi, alla logica neoliberista oppure ai nuovi populismi. La più alta forma di organizzazione politica del Novecento, così, rischia di andare in soffitta. E allora cosa fare? Quali sono gli errori, come bisogna riorganizzarsi? Prende le mosse da questa situazione, e dalle conseguenti domande, il saggio di Fulvio Lorefice Ribellarsi non basta - I subalterni e l’organizzazione necessaria, in libreria per le edizioni Bordeaux (pag.100, euro 12). È un’analisi sulla contingenza attraverso la lente dello studioso: Lorefice, classe 1984, è dottore di ricerca in Storia dell’età contemporanea all’Università di Bologna, esperto dei modelli di mobilitazione dei partiti e dell’evoluzione delle culture politiche.

In Italia "la capacità di direzione e influenza politica delle organizzazioni di sinistra è ridotta al lumicino". Premessa amara, ma realista e necessaria per addentrarsi nell’indagine: nel primo capitolo l’autore offre una ricognizione storica sulla crisi dei partiti, una sorta di storia della sfiducia nelle organizzazioni. Togliatti, già nel 1969, sull’Unità segnalava il rischio della vulgata antipartitica che poteva "aprire la strada ad avventure reazionarie". E già si affacciava anche il fenomeno dell’astensionismo che - secondo Lorefice - ieri come oggi esprime una precisa connotazione di classe: "Sono, infatti, i settori popolari quelli che progressivamente stanno scivolando verso il disimpegno e il non-voto".

Alcune esperienze in Europa, però, negli ultimi anni hanno riportato una parziale fiducia nei partiti di sinistra, seppure breve e illusoria. I due casi principali si chiamano Syriza e Podemos. L’esperto analizza la loro parabola, nel capitolo intitolato Gramsci nel Mediterraneo, mettendoli allo specchio proprio col dettato gramsciano. Sono due esperienze differenti, naturalmente, ma accostate dalla capacità (all’inizio accolta) di proporre un’alternativa all’esistente: "Sono stati in grado di capitalizzare - in sede elettorale - il fermento politico montante. Interpretando i sentimenti di indignazione e protesta ne hanno conquistato un’eredita politica, simbolica e ideale, spendibile per un progetto politico di cambiamento".

Ma, risultati alle urne a parte, questo non è bastato. Nel caso di Syriza, il governo Tsipras ha ottenuto una maggioranza parlamentare che però non corrispondeva al radicamento nella società ellenica, in particolare tra la classe dei lavoratori. Una mancanza che ha pagato, perché "quanto più profonda è la portata del cambiamento che si vuole innescare, tanto più profondo deve essere il legame con la parte sociale della quale si vuole interpretare l’istanza". Diverso il caso di Podemos, che in Spagna è riuscito a costruire un consenso fuori dal sistema politico: presentandosi come il popolo, e contrapponendosi alla casta dei politici, il movimento di Pablo Iglesias si è imposto con un’ottima linea mediatica, presenza costante e incisiva in televisione.

Podemos si è dichiarato "né di destra né di sinistra", sviluppando una teoria dell’egemonia (arrivare al potere per combattere battaglie da una posizione di forza) che non sarebbe piaciuta a Gramsci: anche qui, infatti, manca una classe lavoratrice che si esprime in un partito e ambisce a farsi Stato. Oltre agli operai Podemos non è riuscito a rappresentare neanche i migranti, oltre il 10% della popolazione spagnola. Pur riconoscendo loro il merito del tentativo, Lorefice li definisce "modelli in fieri" che sono stati vittime di problemi simili: tra questi, lo scarso grado di democrazia interna e l’eccesiva eterogeneità politico-ideale.

Tornando al caso italiano, si torna anche alla "malattia" della sinistra nel nostro Paese. Qui raramente la politica acquista il carattere di scienza, come la intendeva Togliatti, perché non ha "la capacità di precedere e accompagnare la lotta e la mobilitazione con lo studio, l’indagine e la conoscenza delle strutture della società". Lorefice esamina due esperienze, sviluppate alla periferia della politica, ovvero i Luoghi Idea(li) di Fabrizio Barca e il Partito sociale nato all’interno di Rifondazione comunista nel 2008.

Alla fine del percorso nelle ipotesi di movimenti e partiti, l’approdo dello studioso è sempre lo stesso: dell'organizzazione non si può fare a meno, oggi è più che mai indispensabile. Non basta ribellarsi, come dice il titolo, ma occorre coordinarsi: le realtà attuali sono inadeguate, certo, ma questo "non può e non deve indurre a ritenere che non sia necessaria un’organizzazione e/o che non valga la pena di impegnarsi per la loro trasformazione". Nell’ottimismo della volontà si chiude un contributo prezioso, tassello per riflettere sull’oggi con occhio scientifico e affermare un dato, l’importanza storica del partito a sinistra, che sarà forse fuori moda ma proprio per questo essenziale: è anche un antidoto al populismo.