Nei suoi primi discorsi ufficiali il nuovo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha affermato: “Non vogliamo giocare al ribasso: vogliamo una più alta produttività per pagare più alti salari”. E più avanti: è proprio “l’andamento della produttività la causa della lenta crescita italiana. È una variabile decisiva”. Gli aumenti retributivi, ha spiegato, “devono corrispondere ad aumenti di produttività”. Un’impostazione sostanzialmente corretta: Boccia dovrebbe tuttavia sapere che la produttività del lavoro dipende dalla qualità del prodotto. Prodotti di migliore qualità possono permettere di aumentare le vendite e, quindi, possono far espandere la produzione.

Solo così si mettono in moto le economie di scala che determinano la riduzione dei costi fissi per unità di prodotto e si aumenta la produzione per addetto, cioè la produttività del lavoro, che fa diminuire il costo del lavoro per unità di prodotto. In questo quadro, la maggiore flessibilità del lavoro rappresenta un vano tentativo di comprimere il costo del lavoro, evitando di fare investimenti sulla professionalità dei lavoratori e sull’innovazione tecnologica, passo fondamentale per realizzare prodotti di migliore qualità. Non è un caso che negli ultimi quindici anni la maggiore flessibilità del lavoro si è associata a una produttività del lavoro stagnante.

Dunque, la qualificazione dei lavoratori e gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione sono essenziali per procedere verso un modello di sviluppo orientato alla qualità dei prodotti e dei servizi, condizione fondamentale per trainare l’espansione delle vendite e della produzione e quindi la crescita della produttività del lavoro. Per questo è molto importante promuovere la crescita dimensionale delle imprese: aziende più grandi e strutturate sono dotate di personale in grado di svolgere le varie funzioni con una professionalità più elevata, hanno un maggiore potere contrattuale nei confronti del sistema bancario e possono agire in modo più attivo sul mercato. È ben noto infatti che la produttività del lavoro è più alta nelle imprese di maggiori dimensioni.

Più in generale, oggi vi è la consapevolezza che la crescita quantitativa non può procedere all’infinito, specialmente nei Paesi avanzati, dove molti mercati sono saturi e gli spazi sono sempre più congestionati. Senza contare che l’esaurimento dell’energia fossile e l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo non consentono più di rinviare il processo di riconversione ecologica dell’economia verso un modello fondato su energie rinnovabili, veicoli non inquinanti, prodotti biologici e biodegradabili, rifiuti riciclabili. Ciò è tanto più urgente se pensiamo che, nonostante le grandiose innovazioni che sono state realizzate nell’ultimo secolo (elettricità, elettronica, telecomunicazioni e informatica), il petrolio, il gas e il carbone continuano a rappresentare le fonti energetiche dominanti su cui si regge l’economia mondiale.

Per tutte queste ragioni è necessario superare il modello dell’espansione quantitativa, per puntare su uno sviluppo di qualità. Per questo serviranno enormi investimenti, sia pubblici che privati, nella ricerca, nella formazione e nell’innovazione tecnologica. Solo così sarà possibile promuovere la crescita del reddito e dell’occupazione nel lungo periodo.