Bancari verso lo sciopero unitario dopo la rottura al tavolo del contratto nazionale. È l'esito dell'incontro di ieri (25 novembre) tra l'Abi e i sindacati durante il quale la Fisac Cgil ha deciso di abbandonare la trattativa, come racconta il segretario generale, Agostino Megale, intervistato da RadioArticolo1 nella trasmissione Italia Parla (qui il podcast).

“È stata l'ennesima inconcludente giornata che ha portato alla rottura", osserva. "Le ragioni stanno tutte nella responsabilità di Abi che si è ripresentata per la terza volta riproponendo posizioni non condivisibili”. Da qui la scelta di intensificare la mobilitazione ipotizzando uno sciopero generale della categoria tra il 23 e il 30 gennaio al termine di un percorso di assemblee che parte in questi giorni.

In primo luogo, spiega Megale parlando dei contenuti, “l'Abi mette a rischio qualcosa come 60-70mila lavoratori che potrebbero uscire dall'area del contratto nazionale, cioè gli amministrativi. Un'idea assolutamente da respingere. Secondo, hanno immaginato di ripresentare un intervento strutturale sul costo del lavoro che prevede di bloccare e abolire gli scatti”.

Posizioni che peseranno soprattutto sui più giovani, aggiunge il sindacalista, comportando “una riduzione del loro stipendio e delle future pensioni fino al 20%”. Senza dimenticare che nel frattempo “il governo attacca il ruolo del sindacato e con il Jobs Act toglie un diritto nell'articolo 18 sui licenziamenti economici”. Lo scenario si completa con l'idea - in qualche modo condivisa da banche ed esecutivo - di mettere in discussione il ccnl in favore del secondo livello, immaginando di imitare altri modelli come quello tedesco.

“Ma le risorse dal contratto nazionale sono certe - sottolinea l'esponente della Fisac - e invece quelle aziendali no. È un'operazione francamente incomprensibile. Servirebbero obiettivi contrattati d'anticipo e per questa via remunerati, in cui le parti si possono accordare sulla produttività, per esempio di due punti medi all'anno e poi decidere come farlo. Così le risorse andrebbero al lavoro”.

“L'idea di banca che proponiamo al paese, su cui i banchieri non intendono misurarsi, oggi è per noi la grande sfida”, aggiunge. “Vogliamo un buon contratto per il lavoro e una banca che riapra i rubinetti per far ripartire gli investimenti, la crescita, la competitività, l'occupazione. Ecco, il sindacato dei bancari unitariamente, non solo la Cgil, sta giocando questa partita. Siamo i bancari della solidarietà contro l'egoismo dei banchieri che troppo spesso si sono occupati solo dei loro compensi e non del paese”. (mm)