“La nostra ipotesi è che la diseguaglianza non sia solo il risultato di astratte forze di mercato, ma il frutto di politiche governative che formano e dirigono le forze della tecnologia e dei mercati, nonché, in senso più ampio, della società nel suo complesso”. E' una delle affermazioni contenute nel saggio di Joseph Stiglitz pubblicato nell'almanacco di economia che la rivista MicroMega ha dedicato in questo numero alla diseguaglianza. O meglio al “ritorno della diseguaglianza”, visto che un concetto e un principio che era stato da sempre alla base della cultura della sinistra è sparito ormai da tempo dalla circolazione. Ora sono i fatti, i numeri inesorabili dell'aumento del divario tra ricchi e poveri, che riportano il tema al centro dell'attenzione degli studiosi e (speriamo) dei politici.

Non è quindi secondaria, in questo contesto politico di grandi incertezze, la scelta di MicroMega, rivista che tradizionalmente si occupa di attualità e di problemi di teoria politico-filosofica, la scelta di dedicare (per la prima volta) un intero numero monografico dell'Almanacco di economia al tema della diseguaglianza, in una fase in cui, dopo la crisi 2007-2013, si è riaperto il dibattito teorico su globalizzazione, austerità, euro, diseguaglianze, politiche keynesiane. L'Almanacco è curato da Roberto Petrini, inviato di Repubblica e autore di numerosi saggi economici e da Emilio Carnevali, redattore di MicroMega e saggista.

A rifletterci l'affermazione di Stiglitz, premio Nobel dell'economia, è effettivamente forte perché individua la diseguaglianza più come una causa della crisi che un effetto e comunque come un prodotto “innaturale” della storia, il prodotto di precise politiche governative. “Vi è in questo – spiega Stiglitz – una nota che al tempo stesso è di speranza e di disperazione: di speranza perché significa che questa diseguaglianza non è inevitabile e, modificando le misure politiche siamo in grado di ottenere una società più egualitaria ed efficiente; di disperazione perché i processi politici sottostanti sono tremendamente difficili da cambiare.

Ma che cos'è la diseguaglianza, come si misura oggi e con quali strumenti si può combattere? Nelle due introduzioni al numero Emilio Carnevali e Roberto Petrini si mette in evidenza prima di tutto proprio l'obiettivo minimo: quello di rimettere al centro del dibattito un tema che pur essendo “fondamento ultimo, morale e razionale, delle nostre istituzioni, è stato espunto, cancellato dalle nostre società”. Si è discusso di obiettivi minimi, ma “l'eguaglianza come traguardo non ancora raggiunto – scrive Emilio Carnevali – come valore e obiettivo da perseguire è sparita dalla discussione pubblica, dagli statuti e dai programmi dei partiti politici (anche della sinistra) e finanche dal marketing elettorale”.

Così in questi anni si è parlato di welfare delle opportunità, ma l'eguaglianza è stata lasciata tra le ragnatele. Ora invece torna. Sia perché c'è qualcuno che coraggiosamente tenta di aggiornarla (Barack Obama, per esempio), sia perché è la storia stessa che si vendica. Una sorta di sottile ironia. Nell'anno della morte della signora di ferro, lady Margaret Thatcher, le statistiche ci informano che la diseguaglianza sta esplodendo in tutti i paesi, compresi i Brics (con la sola eccezione del Brasile), la Russia, la Cina, l'India. Non parliamo dell'Italia che reduce dal ventennio berlusconiano esce con l'indice di Gini sconquassato. D'altra parte se ha ragione Stiglitz, la signora Thatcher, Reagan e tutti coloro che hanno applicato in questi anni la ricetta liberista sono all'origine dell'aumento delle diseguaglianze e quindi della crisi attuale.

Nel numero di MicroMega non mancano le analisi per capire la diseguaglianza dal punto di vista economico e sociale: dai saggi di Mario Pianta e Michele Raitano (“Di padre in figlio, l'Italia feudale”) alla fotografia globale di Federico Rampini e per capirla dal punto di vista politico e culturale in particolare nel suo rapporto difficile con la sinistra. Il discorso si complica infatti quando si passa dall'analisi del presente alle possibili ricette per il futuro. Lì il discorso diverge o diventa contrapposizione come si capisce bene dal dialogo tra Pietro Reichlin e Sergio Cesaratto o dal dibattito sul “reddito minimo” che si è molto riacceso recentemente anche sull'onda di nuove proposte spesso confuse e contraddittorie (interessante il saggio di Perazzoli). Ma di spunti questo numero di 253 pagine ne offre tanti rimettendo per esempio a fuoco il discorso sui “beni comuni” (Ugo Mattei e Massimo Pivetti) e rivalutando anche un altro antico termine, “il collettivo”.

Come sappiamo molti dei temi che riguardano le politiche da attuare per ridurre le diseguaglianze sono oggetto di confronto anche aspro anche all'interno del variegato schieramento della sinistra. Una elaborazione che sta andando avanti anche all'interno del sindacato (la Cgil ha creato per esempio un suo Forum degli economisti). Si tratta di individuare le strade, ma quello che è importante in ogni caso, ed è quello su cui tutti sembrano concordare, è la necessità di rimettere al centro dei nostri discorsi la battaglia per l'eguaglianza e la “redistribuzione”, della ricchezza e del lavoro. Ripartire per esempio dall'immobilità sociale del nostro paese e dall'impossibilità di poter sperare di cambiare il destino “cinico e baro” , magari nascendo a Scampia, sarebbe già un piccolo passo avanti.