L'Italia potrebbe vivere solo di turismo: forzatura o felice intuizione? In concreto ci sono i dati negativi che denunciano una profonda crisi del settore. I più recenti li ha presentati Federalberghi in un comunicato diffuso lo scorso 6 settembre. Nei primi otto mesi del 2012 le strutture ricettive hanno registrato un calo di prenotazioni pari al 2,6 per cento, con una diminuzione del fatturato del 10 per cento. Se la presenza di stranieri continua a far registrare un trend positivo (+1,2 per cento di presenze rispetto al 2011), il 5,6 per cento dei turisti italiani ha rinunciato quest’anno alle vacanze in albergo. Il mese di agosto si è concluso con un bilancio negativo dell’1,1 per cento. “È la prima volta che accade”, affermano con preoccupazione gli albergatori.

Il ministro per gli Affari regionali, il turismo e lo sport, Piero Gnudi, ha dichiarato che “la crisi sta producendo i suoi prevedibili effetti sulle scelte di consumo e purtroppo il turismo non può essere considerato immune” e che la stessa crisi “mette in risalto le fragilità delle aree deboli, quelle meno aperte ai flussi internazionali e dunque più esposte a una congiuntura negativa”. Per affrontare organicamente il problema e rilanciare il comparto Gnudi sta lavorando a un Piano strategico nazionale avvalendosi della collaborazione dei ministeri interessati e delle Regioni, oltre che di tutti gli operatori coinvolti.

Ma è davvero tutta colpa della crisi? “Lo è in parte – dice Cristian Sesena, segretario nazionale della Filcams Cgil e responsabile del settore del turismo –. Il crollo registrato quest’anno dipende certo dalla penuria economica degli italiani, ma è anche frutto di mali cronici e di un mercato che non si è evoluto. L’Italia è stata da tempo surclassata da altri paesi, come la Croazia, che, pur non possedendo nulla di più a livello paesaggistico, offrono tuttavia un miglior rapporto tra qualità e prezzo”. Ad essere in crisi è soprattutto il modello canonico di vacanza, quello fatto di soggiorni lunghi all’interno di strutture alberghiere: soldi e tempo a disposizione sono diminuiti. Ma cambiano anche i gusti delle persone: bed and breakfast, agriturismi e campeggi offrono alternative a chi ha voglia di una villeggiatura diversa. E c’è chi sceglie di trascorrere le ferie in località meno gettonate e in periodi dell’anno che si discostano dall’alta stagione.

La durata della vacanze varia da un massimo di due settimane a un minimo di tre giorni. Prevale il last minute, il mordi e fuggi. A questo cambiamento di abitudini e di costume non è però seguito un adeguamento dell’offerta. Non tale, almeno, da rendere il turismo un settore trainante per la nostra economia. “Il nanismo imprenditoriale e una scarsa capacità di rinnovarsi ostacolano questa possibilità – argomenta il dirigente della Filcams –. D’altro canto governo e Regioni non hanno supportato il settore né attraverso una politica di sgravi e incentivi per le imprese, né di sostegno al lavoro. Tutto ciò, messo insieme, ha comportato la crisi denunciata da Federalberghi”.

La recessione ha colpito duramente anche l’occupazione. Sempre con riferimento ai primi otto mesi del 2012, si è avuta la perdita del 2,8 per cento di posti di lavoro a tempo indeterminato e del 2,5 di quelli a tempo determinato. Tutto ciò in un settore che impiega circa un milione di addetti con regolare contratto, a cui va aggiunta la grande massa di addetti senza diritti. L’attuale contrazione rischia di ampliare ulteriormente il bacino della precarietà e del sommerso a discapito dei dipendenti e della qualità offerta dalle strutture.

La tendenza alla precarizzazione è un fenomeno che si estende a macchia d’olio. Spesso si tratta un vero e proprio modus operandi aziendale. Se prima i dipendenti stagionali avevano la garanzia di poter rinnovare, di anno in anno, il rapporto di lavoro con la struttura alberghiera, oggi questa sicurezza riguarda un numero sempre più ristretto di persone. Si preferisce ridurre i costi eludendo le tasse anziché puntare su esperienza, professionalità e formazione. Il ricorso al lavoro a chiamata è molto frequente, anche nei casi in cui le attività svolte dal dipendente sono, nei fatti, di tipo continuativo. Gli alberghi tendono sempre più a esternalizzare alcuni servizi, come le pulizie o la ristorazione, affidandoli in appalto ad altre ditte.

“In questo modo credono di aumentare la loro redditività. In realtà, non fanno altro che peggiorare il tenore delle prestazioni, allontanare i turisti e scaricare sui lavoratori il peso maggiore della crisi”, commenta Sesena. La vertenza aperta con NH Hotel, che in virtù di questa logica ha sacrificato centinaia di posti di lavoro su tutto il territorio nazionale, è esemplificativa. A pochi mesi dal rinnovo del contratto collettivo nazionale del turismo (quello in corso scadrà il 30 aprile 2013), Sesena ribadisce la necessità di costruire una piattaforma forte, unitaria. “Per rilanciare il settore occorre recuperare la dignità al lavoro. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità e alle istituzioni tocca elaborare politiche attente ai cambiamenti, innovative e mirate. Solo così il turismo potrà dirsi strategico per la ricchezza del paese”. E magari si potrà rispondere alla domanda da cui siamo partiti.