Il modello di contrattazione nella crisi. La produttività, i due livelli e le “minacce” interventiste del governo Renzi. Questi i temi al centro dell'incontro “Il lavoro negli accordi”, che si è svolto a Firenze, nell'ambito delle Giornate del lavoro, a Palazzo Vecchio tra i rappresentanti delle varie parti. Per Pierangelo Albini, responsabile relazioni industriali di Confindustria, la riforma della contrattazione “deve completare la riforma del mercato del lavoro. Ma questa riforma deve anche accompagnare le imprese che vanno aiutate a competere e proprio per questo il modello va rinnovato”. “Siamo convinti – ha aggiunto – che il sistema su due livelli è il più adatto al nostro paese e però la contrattazione aziendale deve essere sempre più virtuosa e i salari vanno ancora più legati ai risultati dell'azienda, il che comporta una sfida importante dei lavoratori anche nell'ambito del coinvolgimento e della partecipazione”. Quanto al tema della rappresentanza, Albini sottolinea che è legittimo che “il governo abbia idee diverse dalle nostre. Per questo, se non riusciamo a trovare un accordo tra le parti, non possiamo poi lamentarci che qualcuno agisca al posto nostro”.

Per Franco Martini, segretario confederale Cgil, ci sono molti luoghi comuni sulla contrattazione e sul suo funzionamento. “Bisogna chiedersi perché la contrattazione è in crisi – ha detto -. La contrattazione serve a redistribuire ricchezza, ma se questa non si produce più, se la crisi continua, è difficile che la contrattazione possa risolvere i problemi”. Per questo, per il sindacalista “il governo
dovrebbe occuparsi di mettere in campo politiche per la crescita e lasciare questo tema a chi se ne intende di più”. Tutto questo non significa che non bisogna fare nulla, ma che bisogna sapere di cosa si parla: “Ci sono settori, penso agli studi professionali o al lavoro domestico, in cui è impensabile di puntare tutto sulla contrattazione di secondo livello per tutelare i lavoratori, altri, invece, in cui se devi intercettare la produttività devi spostare la contrattazione verso il secondo livello”.

Jole Vernola, direttore centrale per le politiche del welfare e del lavoro di Confcommercio, nel suo intervento ha ribadito che per la sua organizzazione “il ccnl resta fondamentale, per la capacità che ha di intercettare e tenere insieme un mondo vasto come quello del terziario. Per noi non è in discussione, anche se certamente nell'ultimo contratto firmato abbiamo trovato soluzioni capaci di rispondere alle esigenze specifiche, se ci sono, delle singole aziende”. “Siamo contrari – ha aggiunto – al salario minimo per legge. E' la contrattazione di settore l'unica in grado di comprendere le diverse situazioni, spesso molto diverse tra di loro anche nella crisi. Più che di questi temi mi piacerebbe che il governo si occupasse di altre cose: per esempio di chi i contratti proprio non li firma”.

“Sul tema della contrattazione – ha detto Gianluca Petteni, segretario confederale Cisl – ritengo che dobbiamo fare un grande sforzo per raggiungere un percorso comune tra le parti. Per questo la Cisl non ha presentato una sua proposta specifica. Per noi questo ha un significato forte per cercare una mediazione comune”. Naturalmente, ha detto il segretario Cisl, “alcuni punti sono fondamentali per noi. Il ccnl va mantenuto, il nodo è come farlo interagire con il secondo livello. E poi bisogna fare attenzione al fatto che tanti temi ci stanno sfuggendo di mano, per esempio quello delle professionalità, di cui ormai spesso discute solo l'azienda. Credo che però la recente riforma del lavoro del governo ci apra percorsi e spazi importanti per la contrattazione”.

“Per noi la discussione e le relazioni, anche con idee diverse, sono importantissime – ha argomentato Tiziana Bocchi, segretaria confederale Uil -. Sulle regole, lo scorso febbraio abbiamo presentato delle proposte: siamo infatti convinti che, aldilà della crisi economica, il mondo del lavoro è mutato e che è necessario intervenire per dare una nuova forza ai due livelli di contrattazione. Per la Uil il ccnl rimane indispensabile, ma nello stesso tempo serve allargare la contrattazione di secondo livello sia in termini quantitativi che per quanto riguarda il suo ruolo, spazio e importanza. La politica salariale va sempre più ancorata alla crescita, ma il contratto nazionale deve continuare a essere strumento regolatore per regole e salario”.

Il dibattito è poi proseguito concentrandosi sui nodi del costo del lavoro e della produttività. Per Albini serve un modello di contrattazione che “generi ricchezza e la ripartisca, sennò non stanno su le imprese, né l’occupazione e il welfare”. Quindi, il tema non è il costo del lavoro, sul quale è impossibile competere (“c’è sempre qualcuno più a sud di te”), ma “avere un lavoro che valga di più”. A questo deve dunque puntare la contrattazione – ha aggiunto Albini – soprattutto per spingere le imprese più piccole, che lavorano per le grandi, ad investire sul capitale umano per favorire la produttività”.

Parole “assolutamente condivisibili” secondo Martini, che però ha fatto notare come Confindustria in passato abbia preso strade diverse. Poi si è rivolto al governo: “Non perda tempo a fare leggi sul salario minimo
– ha detto il segretario Cgil – perché esistono già i minimi contrattuali, basta farli rispettare. Piuttosto, l’esecutivo si adoperi per creare le condizioni per la crescita, perché senza crescita la contrattazione non può far nulla”.

Infine, un passaggio sul modello tedesco. Qui il giudizio è unanime, sindacati e associazioni datoriali: “Non si possono importare modelli da altri paesi senza tenere conto delle differenze economiche e sociali che esistono”. La grande impresa manifatturiera tedesca è diversa dal sistema di Pmi italiano. Allora piuttosto che copiare modelli, l’obiettivo deve essere di “far evolvere il modello italiano di contrattazione”. (S.I, F.R)