Sembra un paradosso, ma è così: a volte lo Stato è un pessimo datore di lavoro. Ci sono dipendenti pubblici che per avere la propria liquidazione – diritto sacrosanto dopo una vita di lavoro – devono attendere, a seconda del motivo della cessazione, fino a sette anni. E questa nonostante siano passati già nove mesi dalla sentenza n° 130 della Corte Costituzionale del 23 giugno scorso che aveva con grande nettezza dichiarato questo differimento “anticostituzionale”. Per Cgil, Fp e Flc “è molto grave che il governo non sia ancora intervenuto per sanare questa profonda ingiustizia contro le lavoratrici e i lavoratori pubblici”.

Secondo la Consulta, infatti, tale differimento contrasta con il principio della giusta retribuzione contenuto nell'art. 36 della Costituzione che recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa”.

Secondo Ezio Cigna, Florindo Oliverio e Manuela Calza – rispettivamente, Cgil, Fp e Flc – quella che si configura è una vera e propria appropriazione indebita, che colpisce ancora una volta i lavoratori pubblici”.

Per i tre sindacalisti “è evidente che questo esecutivo, prosegue nella sua strada: dopo essere riuscito nell’impresa di peggiorare anche la legge Fornero, azzerando qualsiasi forma di flessibilità in uscita e tagliando le pensioni dei dipendenti pubblici, adesso nemmeno di fronte alla richiesta della Consulta decide di intervenire per risolvere un problema pesantissimo”.

Insomma, in soldoni la situazione è questa: “Nonostante le promesse e i tanti slogan di questo governo sulle pensioni, i lavoratori pubblici rischiano non solo di andare in pensione dopo 49 anni di lavoro ma anche con il posticipo del proprio Tfr o Tfs (il Trattamento di fine rapporto e il Trattamento di fine servizio, ndr)”.

Il differimento del Tfs e del Tfr erode di fatto il potere d’acquisto e rappresenta una evidente discriminazione delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici rispetto ai privati, per i quali invece la liquidazione avviene al momento della cessazione dal servizio.

Per le lavoratrici e i lavoratori pubblici, dunque, l'unica opzione per ottenere il Tfr in tempi brevi è rappresentata dalla possibilità di avvalersi dell’anticipo che tuttavia non solo è soggetto ai gravi ritardi delle procedure ma, seppur offerto dall’inps a interessi agevolati, costituisce un costo aggiuntivo su quello che, in quanto salario differito, dovrebbe appartenere di diritto al lavoratore. In pratica, ci si trova nel paradosso di dover pagare per entrare in possesso di soldi propri.

Sulla questione è intervenuto anche lo Spi. In una nota il sindacato pensionati della Cgil fa sapere che il Civ, raccogliendo le segnalazioni provenienti proprio dalle organizzazioni sindacali dei pensionati sulla base dei dati e delle informazioni offerte dalle competenti direzioni centrali dell'Inps, ha rilevato che l'iter di erogazione del Tfr e del Tfs e della nuova prestazione di "anticipo Tfs eTfr" “subisce attualmente significativi ritardi determinati non solo dalla normativa, ma da altri fattori, come la carenza di personale dedicato a tale attività e una insufficiente formazione degli operatori. Ciò sta determinando, soprattutto in alcune realtà territoriali, un parallelo incremento del contenzioso”.

A conferma di tali difficoltà, anche le domande di anticipazioni del Tfs e Tfr – previste per coloro che sono iscritti al Fondo credito – presentate dai lavoratori dal 1°febbraio al 12 dicembre 2023 sono state 17.539, quelle respinte 6.195, quelle in lavorazione 9.138 e quelle lavorate 2.216.

Lo Spi Cgil ha sollecitato più volte interventi che consentissero ai lavoratori pubblici di ottenere la prestazione in tempi accettabili, per questo ha salutato positivamente il fatto che il Civ abbia chiesto agli organi di gestione dell'Istituto di elaborare tempestivamente un progetto specifico per ridurre i tempi di erogazione dei trattamenti di fine servizio e fine rapporto, delle anticipazioni e dei versamenti ai fondi di previdenza negoziale – anch’essi in attesa di una loro risposta.

Ovviamente, in attesa di una soluzione strutturale del problema, come si legge in una nota di Spi e Inca, “non possiamo esimerci dal tutelare il pensionato, l’ex dipendente pubblico, che non ricevendo il pagamento del Tfs/Tfr nei termini previsti si rivolge alle nostre strutture”.

Mentre da parte loro Cgil, Fp e Flc si dichiarano pronte “per attivare il contenzioso contro le scelte dei tagli sui pubblici effettuati in legge di bilancio e a valutare iniziative da mettere in campo laddove il governo non intervenga come indicato dalla Corte”. Per la Cgil e le sue categorie dei pubblici “si tratta di un abuso che intendiamo contrastare in tutti I modi”.

In attesa che il governo faccia qualcosa, è sicuramente positivo che sia stata presentata una proposta di legge – prima firma M5s – che ha iniziato da qualche settimana in commissione Lavoro alla Camera il suo iter e che propone di ridurre al massimo a tre mesi i termini per la liquidazione del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici: la prima rata, secondo questo provvedimento, dovrebbe in sostanza essere pagata entro tre mesi dalla pensione.

Nella proposta di legge c’è anche la revisione delle soglie di pagamento. Al momento, la prima rata del Tfs è limitata a 50 mila euro, mentre cifre più alte richiedono tempi di attesa superiori. Per accorciarli, si propone un incremento di queste soglie – fino a 63 mila per la prima rata – adeguandole così all’inflazione.

Sta alla politica, a questo punto, sanare un’ingiustizia divenuta ormai intollerabile.