Superare la Fornero? Ci sono riusciti, ma in peggio. Le novità in materia di previdenza contenute nelle prime bozze della legge di bilancio che circolano in questi giorni, vanno addirittura oltre le previsioni – pure fosche – della Cgil. Per non parlare delle promesse fatte dal governo Meloni in campagna elettorale. La realtà, appunto, è che i pur timidi passi avanti rispetto alla rigidità contabile della legge Fornero del 2012 per rendere possibili alcune “uscite”, sono stati quasi azzerati e penalizzati.

“Nonostante i tanti slogan e le promesse elettorali, questo governo sulle pensioni il governo non farà nulla, anzi, è riuscito a fare peggio dei governi precedenti”, commenta Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil. E quindi, aggiunge la sindacalista, non c’è “nessuna risposta per giovani, donne e pensionati, mentre si allontana il traguardo della pensione per tutti”.

Per Ezio Cigna, responsabile previdenza della Cgil, “vengono assunte scelte sbagliate che azzerano di fatto misure di flessibilità per il 2024, come l’ape sociale e opzione donna. Anche quota 104 sarà una misura assolutamente inutile, visto che chi non aveva 62 anni nel 2023 non potrà avere 63 anni di età nel 2024”.

Non solo: “Non si interviene solo sul diritto ad accedere alla pensione ma anche alla misura, con il ricalcolo contributivo per quota 104 e la revisione delle aliquote di rendimento per alcuni settori del pubblico impiego, tagli che possono raggiungere anche il 20% della quota retributiva”. Il ricalcolo contributivo nel passaggio da quota 103 a quota 104 con il rapporto dei coefficienti di trasformazione all’età di uscita con quello previsto per la pensione di vecchiaia produce un taglio che può arrivare addirittura al 12%.

Vengono inoltre allungate, sempre per quota 104, di tre mesi le finestre di uscita da 3 a 6 mesi nel settore privato e da 6 a 9 mesi nel settore pubblico. Per l’ape sociale si innalza il requisito di età: da 63 anni a 63 anni e 5 mesi, che significherà ridurre totalmente la platea per il 2023.

Su opzione donna, si riesce a fare peggio, aumentando il requisito anagrafico di un anno dopo il sostanziale azzeramento previsto dal governo nella scorsa legge di bilancio. Saranno necessari entro il 31.12.2023: 35 anni di contribuzione e 61 anni di età per le casistiche definite precedentemente (cargiver, invalide dal 74%, licenziate o dipendenti aziende con tavolo di crisi aperto).

Peggioramenti anche per i giovani. Viene infatti modificato l’impianto previdenziale per le giovani generazioni e per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995: “Alzare l’importo soglia a 3 volte l’assegno sociale (1.590 euro circa) da raggiungere a 64 anni con 20 anni di contributi, e abbassarlo al 2,8 volte per le donne con un figlio e a 2,6 volte per le donne che hanno avuto due figli, rischia di peggiorare ancora la situazione. Significherà mandare prima in pensione coloro che hanno avuto retribuzioni alte e magari solo 20 anni di contribuzione, costringendo coloro che hanno magari lavorato una vita ma con salari bassi a rimanere al lavoro, altro che equità, è piuttosto una solidarietà rovesciata”, attacca Cigna.

Altro tema di cui si è discusso molto è quello delle indicizzazioni. Bisogna ricordare che un taglio era stato già effettuato nella scorsa Finanziaria. Taglio che viene confermato per gli assegni oltre quattro volte il trattamento minimo. L’intervento per le pensioni tra 4-5 volte il trattamento minimo – che ha portato la percentuale di rivalutazione dall’85 al 90% –, per una pensione di 2.300 euro significa un aumento risibile di 6 euro circa.

Insomma dalla bozza sembra tutto chiaro: “Si continua a fare cassa sulla previdenza, altro che superamento della legge Monti-Fornero. Abbiamo sempre sostenuto che i tavoli di confronto fossero finti e non si sarebbe fatto nulla sulle pensioni, dopo continue promesse e bugie, la verità adesso è chiara e la nostra mobilitazione prosegue, con al centro questo tema”, conclude Ghiglione.