Nonostante abbia superato l’esame della erogazione dei livelli essenziali di assistenza, anche in questa Regione il servizio sanitario è in sofferenza: medici e infermieri che abbandonano i servizi, gettonisti e cooperative in sostituzione dei dipendenti pubblici, sotto organico e difficoltà a reperire medici e infermieri. Ne parliamo con Massimo Bussandri, segretario generale della Cgil della Emilia-Romagna

foto Michele Lapini

L'Emilia-Romagna è tra le regioni quella che riesce meglio a rispondere ai bisogni di salute dei cittadini, eppure c'è una grossa sofferenza anche da voi, che cosa sta succedendo?
È vero, anche per il 2022 l’Emilia-Romagna si è confermata prima Regione benchmark per la ripartizione del Fondo sanitario nazionale, questo certifica che ci sono ancora livelli d'eccellenza, però le difficoltà anche da noi ci sono. La situazione è sempre più preoccupante, soprattutto per quel che riguarda la tenuta finanziaria del sistema, e sono anni che la Regione riesce a chiudere il bilancio della sanità mettendo risorse fresche, oltre quelle del Fsn. Tra il 2000 e il 2022 ha iniettato nel sistema sanitario regionale circa un miliardo di euro di risorse proprie, cioè ricavate da avanzi di bilancio o da poste spostate da altri capitoli di spesa per coprire i buchi lasciati dalla ripartizione del Fondo sanitario nazionale. Per il 2023, l'assessore Donini ha annunciato un disavanzo potenziale di 400 milioni di euro. Ci auguriamo ovviamente che questo disavanzo possa essere colmato, ma la possibilità della Regione di attingere da altre poste di bilancio per tappare le falle della sanità è al fondo del barile. Siamo molto preoccupati

Questo ha, evidentemente, conseguenze...
Certo, innanzitutto la ridotta capacità di dare risposte ai cittadini e alle cittadine, dall'allungamento delle liste d'attesa alle condizioni di stress del personale costretto a operare sopportando carichi di lavoro inaccettabili.

Parliamo allora del personale. Proprio in questi giorni sui giornali locali e nazionali si racconta di un aumento preoccupante di abbandono del Ssr di medici e infermieri, soprattutto dalle strutture di Bologna. Personale sanitario spesso proveniente da altre regioni, che non riesce più a sopportare il costo della vita elevato rispetto al salario.
Sono due questioni che si intrecciano: da una parte livelli salariali in generale in sanità, ma soprattutto per alcune professioni, assolutamente inadeguati. Dall’altro il tema del caro affitti e del carovita di Bologna in particolare, che stiamo ovviamente cercando di affrontare. Rimane il fatto che un salario medio di 1.700 euro al mese per gli infermieri non è adeguato. visti i carichi di lavoro e di responsabilità. In ogni caso, la criticità finanziaria della sanità in Emilia-Romagna affonda le sue radici nelle politiche scellerate di tutti gli ultimi governi che hanno tagliato risorse al Fondo sanitario nazionale, situazione ulteriormente aggravata dal governo Meloni che ci porterà nel giro di tre anni a un livello di Spesa sanitaria pari al 6,2 % del Pil.

Le risposte della Regione non sempre vi hanno convinto
Abbiamo criticato, in passato, la risposta di adattamento che l’Emilia-Romagna ha messo in campo invece di reagire. Lo scorso anno, ad esempio, sono stati appaltati pezzi dei pronto soccorso di Modena, Reggio Emilia e Ferrara con il risultato che medici di quei servizi si sono licenziati per andare a lavorare nelle cooperative a cui veniva appaltato quello stesso servizio, guadagnando così il doppio. Pura follia. Per fortuna, grazie soprattutto alle nostre rivendicazioni, oggi siamo entrati in una fase nuova, si sta lavorando a un progetto importante di riorganizzazione dell'emergenza e urgenza, rimarranno riservati ai pronto soccorso i casi più gravi e sul territorio verranno istituiti nuovi centri di assistenza e urgenza per dare risposte ai casi a minore complessità clinica. Ovviamente, tutto all'interno del sistema pubblico. L'obiettivo è quello di sgravare i pronto soccorso, una delle criticità più forti del sistema, dai codici bianchi e verdi. Ma anche questa riorganizzazione richiede risorse finanziarie e professioni.

A questo proposito, il taglio del Pnrr previsto dal governo per case e ospedali di comunità che impatto avrà da voi che siete una delle regioni ad avere sperimentato le case della salute?
Siamo molto preoccupati. Le risorse previste dal Pnrr per il potenziamento di tutti i servizi di medicina territoriale per noi sono importanti, servono per completare un percorso che, come dici tu, da noi era già stato avviato da tempo attraverso le case della salute e altre forme di medicina territoriale. Adesso il rischio è che con il sottofinanziamento del sistema sanitario queste strutture implementate dal Pnnr rimangano gusci vuoti di professionalità, cattedrali nel deserto. Per questo ben venga la legge di iniziativa popolare proposta dalla Regione e licenziata nelle settimane scorse: ha due contenuti fondamentali, il primo portare il finanziamento della spesa sanitaria progressivamente al 7,5% del Pil e, in secondo luogo, eliminare il tetto di spesa per l’assunzione del personale. Ovviamente è una proposta nata in Emilia-Romagna ma a carattere nazionale. Proposta di legge che sosteniamo e raccoglieremo le firme necessarie per portarla in Parlamento, perché quel testo accoglie una parte importante della nostra piattaforma nazionale sulla sanità e di quello che abbiamo sempre sostenuto in questa Regione. Quindi in realtà noi di questa iniziativa siamo stati precursori e sponsor.

La campagna in difesa della sanità pubblica in Emilia-Romagna si inserisce anche nel percorso di mobilitazione nazionale della Cgil?
Certo, in vista del 7 ottobre stiamo già lavorando in tutti i territori, abbiamo dato il via alle assemblee con lavoratori e lavoratrici, con loro stiamo ragionando su tutti questi temi che riguardano il futuro del Paese. Anche il progetto sull'autonomia differenziata, che ovviamente contrastiamo, non è solo un disegno di rottura della coesione geografica e sociale del Paese, è proprio un progetto classista. Quando diciamo che è un progetto che rischia di far andare avanti le regioni del Nord, non è vero! È un progetto tarato sui ricchi delle regioni del Nord e che sarà devastante anche per le persone che noi rappresentiamo, perché il disegno ultimo di quel progetto è proprio lo smantellamento del perimetro pubblico e il consegnare la sanità pubblica al sistema delle assicurazioni private, consegnare la scuola pubblica agli interessi dell'impresa, consegnare le politiche pubbliche al mercato. Per questo c'è un intreccio forte tra la manifestazione del 7 ottobre e il disegno di rilancio dei princìpi e dei valori della Costituzione con le battaglie che stiamo portando avanti in Emilia-Romagna, in particolare appunto, a difesa della sanità pubblica.