La sanità di territorio delineata dai progetti legati al Pnrr è certamente positiva, ma ha in sé dei grossi limiti, tutti riguardano il personale. Non è previsto un piano straordinario di assunzioni, peraltro indispensabile a far camminare in maniera efficiente il servizio esistente, figuriamoci nuovi servizi. Il rischio di dover ricorrere al privato è alto. La segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi avverte che per la Confederazione la privatizzazione surrettizia del servizio sanitario è inaccettabile.

Siamo nel pieno di una nuova ondata di Covid, sembra che il servizio sanitario nazionale abbia imparato davvero poco dalle ondate precedenti. Pronto soccorso in grave sofferenza, ambulanze in fila che non riescono a scaricare i pazienti, Usca chiuse proprio in questi giorni. E la sanità territoriale esattamente uguale a quando la pandemia è cominciata.

Alla fotografia che hai tratteggiato aggiungiamo l’accumularsi di esami, visite e interventi chirurgici. Secondo gli ultimi dati ci sono oltre 100mila contagi al giorno – di quelli registrati ma sappiamo essere molti di più -, riaprono i reparti Covid. L'occupazione di posti letto ordinari si attesta al 16% e di quelli di terapia intensiva al 4%. Il problema è che dopo due anni di coronavirus il nostro sistema sanitario dovrebbe essere in grado di rispondere in maniera diversa. Invece il personale è allo stremo, con in più due anni di fatica e di stress sulle spalle, ridotto a causa dei contagi che colpiscono anche loro. Le condizioni di lavoro continuano a essere difficili: cominciano a venire sospese le ferie e i recuperi per garantire la copertura dei servizi. E per di più il tentativo delle Regioni di recuperare le prestazioni inevase nei mesi passati sta subendo un arretramento, proprio a causa della nuova ondata, e si continuano a spostare prestazioni sul privato che difficilmente torneranno nel pubblico.  

Stai descrivendo un quadro davvero allarmante.

È una situazione che ci preoccupa enormemente. Al di là di questi ultimi dati, per capire la gravità dello scenario su cui questi nuovi contagi impattano, basta leggere l’ultimo rapporto Istat sul Bes: secondo l’Istituto l’11% della popolazione in questo Paese rinuncia a curarsi o per motivi economici o per una mancata offerta o adeguatezza dei servizi. Tutto ciò, ovviamente, ha una forte e pesante ripercussione sulle condizioni di salute delle persone e sul fronte del personale, che davvero è messo a dura prova. In questo momento c'è un rischio per la tenuta del sistema, non solo per quello pubblico. Anche qui l’allarme arriva dalle strutture che non solo sono già in sotto organico, ma che si trovano di fronte a un fenomeno nuovo, le dimissioni volontarie di infermieri e medici che lasciano il lavoro.

Perché le condizioni di lavoro migliorino è indispensabile aumentare il personale. Le Regioni stanno bandendo dei concorsi, penso al Lazio ad esempio, ma per un numero del tutto insufficiente di posti. E dall’altra parte se rimane il blocco del tetto di spesa per il personale...

La vera emergenza del servizio è proprio quella che riguarda il personale: sono pochi, se ne possono assumere direttamente in numero totalmente insufficiente per ragioni di mancata copertura di spesa per il personale. Quando si trovano le risorse si esternalizza parte del servizio con il risultato che nelle strutture, oltre ai precari, ci sono i dipendenti di cooperative fino ai medici a gettone. Insomma una frammentazione e una disgregazione del lavoro che si ripercuote sull’efficienza e inevitabilmente la qualità del servizio. Uno dei rischi fortissimi che noi vediamo è che, così facendo, in maniera surrettizia si privatizzi il sistema sanitario. E questo per noi è inaccettabile.

Questa, lo dicevamo, è la fotografia di ciò che esiste. Il governo è al lavoro per dare attuazione al Pnrr. La riforma dell’assistenza territoriale, parte consistente della Missione 6 del Piano, è stata messa nero su bianco attraverso il Decreto ministeriale 77. Tutto bene?

Bene, ma non tutto, anzi. Andiamo per gradi. L'impianto complessivo della riforma, le case della salute, gli ospedali di comunità, l’infermiere di famiglia, l’assistenza domiciliare eccetera, delineano una riorganizzazione del territorio al cui centro ci sarà il distretto che condividiamo. Ma restano aperti nodi importanti, a partire dalle risorse e dal personale, senza le quali la riforma rischia di essere un’occasione persa. Ci sono due problemi gravissimi. Da un lato il decreto si concretizza attraverso due allegati: il primo descrittivo, che appunto descrive come dovrà essere la sanità di territorio; il secondo prescrittivo, che cioè dice quello che le regioni devono necessariamente fare per dare attuazione alla riforma. Questo è molto meno puntuale del primo. Qualche esempio? Nel secondo non compare il distretto e nemmeno l’infermiere di comunità. Il rischio che vediamo che così facendo l’attuazione della riforma non sarà omogenea per tutto il territorio nazionale. In questo modo, invece di ridurre le diseguaglianze di salute, esse si acuiranno. Il secondo problema riguarda il personale. Non è previsto da nessuna parte il piano di assunzioni necessario per far vivere e operare le strutture territoriale che si costruiranno. Nessuna riforma è a costo zero: se il numero di medici, infermieri, tecnici e amministrativi del servizio rimane invariato - già abbondantemente sottodimensionato – vuol dire che altri servizi verranno ridotti.

Quello che poni è una prospettiva inquietante. Invece di ampliare l’offerta si rischia di penalizzare altri settori?

Le case o gli ospedali di comunità senza personale adeguato, non solo sanitario ma anche sociale, rischiamo di essere scatole vuote. È necessario prevedere risorse per le necessarie professionalità da assumere e stabilizzare e per garantire il servizio nel corso degli anni. Se non vi è un impegno serio sulla formazione del personale rendendo attraenti le professioni sanitarie, valorizzandole, e soprattutto se non ci sarà un vero cambio di rotta sulla spesa corrente tutto questo non si potrà realizzare. Le premesse non sono certo positive. L'ultimo Documento di economia e finanza, quello che prevede le spese del bilancio dello Stato per i prossimi tre anni, indica che dal 23 al 25 il Fondo sanitario nazionale decresca anno su anno, sia in termini percentuali sul Pil che in valori assoluti. Se questo verrà confermato dalla prossima legge di bilancio la situazione non solo sarà grave, ma davvero preoccupante.

Barbaresi, lo dicevamo, uno degli obiettivi di Nex Generation Eu e la riduzione dei divari territoriali. A tuo giudizio quanto si sta mettendo in campo con in Pnrr ridurrà le differenze sull’esigibilità del diritto alla salute tra i diversi territori?

Questo è uno dei nodi aperti della riforma. Da una parte si indicata l'obiettivo di definire modelli e standard che vadano nella direzione di superare la frantumazione del sistema e le diseguaglianze; dall’altro non vengono messe a disposizione le risorse per farlo. Il rischio che le regioni, senza adeguate risorse non riescano a colmare i divari che già esistono è reale. Per di più l’allegato 2 al Dm 77, quello prescrittivo, è - come dicevamo – talmente scarno che ciascuna regione farà quel vuole. E c’è un’altra questione che ci allarma molto. Il baricentro della riforma dovrebbe essere il distretto, fin qui tutto bene, il problema nasce dal fatto gli si attribuisce il ruolo di “committente”: definizione che fa preludere di fatto a un'esternalizzazione delle attività. Tradotto: rischio di privatizzazione dei servizi. Noi a questo siamo proprio contrari.