La povertà economica è solo una conseguenza di altre povertà. Il sostegno economico è indispensabile, ma per aggredire davvero il fenomeno occorre ricostruire il welfare. Ne parliamo con Gianmaria Gazzi, il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali.

Lei è il presidente degli assistenti sociali, è a contatto con 46mila operatori sul campo. Secondo la sua esperienza che cos'è la povertà?

La povertà ha mille facce. Quella economica, certo, che però si accompagna o è spesso determinata da povertà relazionale, magari cognitiva, di salute, di formazione, soprattutto in un mondo complesso come quello di oggi. È per questo che quando si parla di povertà è sbagliato legarla, principalmente, alla mancanza di lavoro. Ci sono tantissime persone in condizioni di indigenza che non sono collocabili al lavoro, proprio perché hanno altre mancanze o altri bisogni: competenze specifiche, orientamento, vicinanza, salute. Le persone povere che si rivolgono a noi e ci chiedono aiuto, possono aver bisogno di una casa o di cure o di compagnia, o hanno bisogno di essere aiutate per accudire figli o anziani. Se non ho a disposizione le persone e i servizi come faccio ad aiutarli? Poi, certo, c'è anche chi è senza lavoro, ma non è per quello che arrivano a noi.

Se la povertà non è determinata dalla mancanza di lavoro, qual è la priorità degli interventi che vanno messi in campo?

Innanzitutto accogliere le persone e compiere una valutazione iniziale di quali siano i bisogni e le risorse di quella specifica donna, uomo o famiglia. Il tasso di non occupabilità di quanti si trovano in povertà è assai alto, basti pensare ai senza dimora, ai migranti, agli anziani, ai disabili o ai portatori di disagio psichico. O anche alle donne con figli piccoli o genitori da accudire. Se il sistema di welfare si affida al lavoro di cura informale e familistico, il problema di quei nuclei familiari è l’assenza di servizi per l’infanzia e per la non autosufficienza che costringe le donne a non lavorare. Quella povertà lì è determinata da scelte sbagliate che hanno sempre più ristretto il perimetro dei servizi pubblici di welfare e si affronta creando asili nido, servizi per l’infanzia e non autosufficienza e poi puntando sulle competenze di quelle donne che, liberate dal lavoro di cura informale, possono avere un'attività retribuita. Tra l’altro, l’occupazione femminile si crea anche potenziando i servizi pubblici che sono a forte intensità di lavoro e di lavoro delle donne. E poi, è bene non dimenticarlo, una parte di coloro non hanno un reddito sufficiente alla sopravvivenza, ha un impiego. Uno dei fenomeni di cui poco si parla è proprio quello del lavoro povero. Insomma, le politiche attive per il lavoro e le politiche industriali sono una cosa, la povertà è qualcosa di più complesso. Averle volute legare ha portato con sé un errore che tutti i manuali di scienze sociali paventano: la colpevolizzazione, in alcuni casi la criminalizzazione del povero. Poi, per creare lavoro servono politiche attive, formazione continua, bisogna combattere il lavoro nero e le paghe da fame. Il ruolo del sindacato è fondamentale.

E allora, in presenza di povertà conclamata si può togliere il sostegno economico? E poi quali sono, visto tutto ciò che ci ha illustrato, gli strumenti da mettere in campo?

Il sostegno economico non si può e non si deve togliere: anche 100 euro per chi ha poco o nulla fanno la differenza. Ma non basta. Non si tratta di fare la carità, si tratta di attuare la Costituzione. Quindi servono una serie di strumenti, appunto, che consentano di rispondere ai bisogni specifici, di attivare percorsi di emancipazione dalle condizioni che determinano la povertà, creando opportunità di sviluppo delle persone. Per fare questo servono servizi e un sistema di welfare efficace ed efficiente. Così come importante è recuperare alla formazione quanti hanno bisogno di accrescere le proprie competenze per poter, magari, rientrare nel mercato del lavoro. E quando parlo di servizi intendo anche che vengano assunti, in forma stabile, in tutto il territorio nazionale gli operatori sociali che servono a farli funzionare. Al momento proprio nei territori più disagiati – al Sud, ma anche in aree montane del Nord - gli assistenti sociali sono meno e spesso assunti con contratti precari legati a progetto. Terminati i quali loro tornano a casa e le persone rimangono di nuovo sole. La povertà non è stata abolita, ma chi nega che esisteva ed esiste, chi parla soltanto di furbetti, ha guardato il mondo sempre dall’alto. O, per pura convenienza politica, è assolutamente in malafede.