“Per noi non è una sorpresa”. È amaro il commento di Alessandra Baldari, segretaria generale della Funzione pubblica in Calabria, sull’entrata della regione in zona rossa. Una decisione che il sindacato si aspettava, per via della fragilità del sistema sanitario territoriale, che va di pari passo con l’incalzare dei numeri. Anche in Calabria l’incremento dei contagi è stato esponenziale: l'8 ottobre c'erano 21 positivi, circa un mese dopo 266.

Alessandra Baldari, cominciamo dal caso Cotticelli, il commissario che "non sapeva" di dover fare il piano Covid. 

Le dichiarazioni del generale Cotticelli destano stupore, atteso che il piano anti-Covid era stato decretato dallo stesso commissario ad acta sin dal giugno 2020. Noi della Fp Cgil, avendo riscontrato la scarsità delle assunzioni realizzate con i finanziamenti stanziati dal governo con i decreti emergenziali, abbiamo segnalato la mancata attuazione di quanto decretato, rilevando poca chiarezza nell'individuazione dei compiti riguardo ai soggetti attuatori. Già da tempo, unitariamente e insieme alla Confederazione, più volte avevamo segnalato la mancanza di confronto e le esigue competenze tecniche dell'ex commissario. Dobbiamo anche dire che c’è stata una grossa confusione nella catena di comando tra l’allora presidente della Regione Jole Santelli e il commissario Cotticelli. Sulla carta noi abbiamo 37 Usca (unità di emergenza) per tutta la Calabria, ma in realtà ne sono state attivate meno della metà. Solo 12, secondo un’indagine fatta da noi come Fp Cgil, che non riescono neanche a fornire l’assistenza domiciliare necessaria a evitare il ricovero per i malati in condizioni non critiche.

Se la Calabria oggi non fosse zona rossa, cosa rischierebbe?

Tutti i reparti degli ospedali sono già in affanno, mancano i posti in terapia intensiva e già abbiamo una saturazione conclamata dei ricoveri ordinari. Mancano i posti nel reparto di malattie infettive sia nell'area del catanzarese sia all'ospedale di Cosenza. I medici dell'ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro e del Mater Domini, che è il Policlinico universitario, denunciano la totale assenza di luoghi dove destinare i pazienti ancora positivi ma in via di guarigione. Questi pazienti non possono essere dimessi perché mancano i Covid hotel, che pure erano stati previsti.

La Regione, quindi, non ha un vero e proprio piano Covid...

Assolutamente no, piano che invece era stato demandato dal governo, che ha destinato alla Calabria 86 milioni di euro. A luglio era stato deliberato il potenziamento dei posti di terapia intensiva e sub-intensiva, con un incremento rispettivamente di 130 e 136 posti. La Regione garantiva che si sarebbero implementati i posti addirittura fino a 400. In realtà, da giugno a settembre l'ampliamento è stato di soli sei posti. Mancano all’appello 4 mila operatori sanitari.

 

 

Ci sono anche grossi problemi per quanto riguarda il tracciamento.

Abbiamo capito ormai che il problema del tracciamento è a livello nazionale. Però in Calabria manca il personale accreditato per processare i tamponi, che per altro scarseggiano. Tanto che il presidente ad interim della Regione qualche giorno fa ha dovuto chiedere una fornitura alla Puglia. L’attesa degli esiti va dai cinque ai sette giorni, con punte addirittura di 12 giorni.

 

 

Nei giorni scorsi, il presidente ad interim Nino Spirlì ha giudicato esagerata la scelta di mettere la Calabria in zona rossa e ha “ridimensionato” i numeri dei ricoveri in terapia intensiva.

La mattina del 4 novembre esce il bollettino della Regione con 26 pazienti ricoverati in terapia intensiva. La sera, alle ore 20, la Regione rettifica il numero abbassandolo a dieci. Forse l’ultimo disperato tentativo di non entrare in zona rossa. Praticamente avevano considerato, nel calcolo dei pazienti ricoverati in terapia intensiva, solo quelli intubati, ma non gli altri. Questa è una cosa veramente assurda, anche perché i pazienti stanno tutti nello stesso reparto e anche questo è paradossale. Il sistema sanitario calabrese è incapace di fronteggiare l’emergenza.

Oggi abbiamo quasi 4 mila casi di Covid-19...

Non sono tantissimi su un milione e 900 mila abitanti, ma il nostro Rt di 1,66 è oltre quell’1,5 che è stato individuato come la soglia di rischio. La situazione è completamente fuori controllo, questa è la verità.  Nella prima fase della pandemia, oltre che avere contagi molto bassi, avevamo focolai ben circoscritti, quindi più facilmente controllabili. Adesso invece il virus si è diffuso non solo nei grandi centri urbani, ma anche nei piccolissimi paesi. Oggi la diffusione del contagio colpisce sempre di più anche i nostri operatori sanitari: già un centinaio nella sanità pubblica e una quarantina nel privato.

Questo perché mancano i dispositivi di protezione, o non sono sufficienti?

Esattamente. Inoltre non è mai stata rispettata la distinzione tra percorso pulito e percorso sporco. All’ospedale di Cosenza arrivano pazienti che magari al primo tampone risultano negativi e al secondo, il giorno dopo, sono positivi. Nel frattempo però sono entrati nei reparti, contagiando operatori sanitari e altri pazienti. Fino a qualche giorno fa, all'ospedale di Locri arrivavano pazienti che restavano parcheggiati al pronto soccorso per due o tre giorni, in attesa dell’esito del tampone trasportato a Reggio Calabria per essere processato.

La zona rossa, da un lato, preserva la Calabria da una catastrofe sanitaria, ma dall’altro questo nuovo lockdown è una calamità per l’economia fragile della regione.

Assolutamente vero, tanto che si è generata una rabbia tra i cittadini, gli imprenditori, gli amministratori. Questa situazione certamente mette in ginocchio ancora di più un'economia debolissima, che non ha punti di forza su cui riorganizzare la propria ripartenza. Sarà difficile riconquistare la fiducia. Tra l’altro noi dovremmo avere le elezioni a breve. Il 10 novembre si terrà l'ultima seduta per sciogliere il Consiglio regionale e organizzare la nuova tornata elettorale, in una situazione così complicata.