Qual era la situazione della sanità prima del covid e qual è oggi?

Era ed è molto difficile. Stanno mettendo in campo, sia negli ospedali che sui territori, un’organizzazione destinata ovviamente in particolare ai percorsi covid, sacrificando di nuovo fortemente l’assistenza sanitaria per tutte le altre patologie. Questo non potrà far altro che produrre effetti drammatici sia per quanto riguarda l’emergenza che per tutte le patologie non coronavirus. Dalle terapie intensive, non disponibili per altre patologie e quindi interventi chirugici programmati da rinviare, ai reparti ordinari ridotti o chiusi per carenza di personale impegnato con i malati covid. Ma soprattutto, avremo una riduzione di tutta l’attività ambulatoriale e di presa in carico nella prevenzione e nella cronicità.

Oncologia, cardiologia, malattie metaboliche: che cosa succede a questi pazienti e perché anche per loro nella prima ondata della pandemia si sono ridotte le possibilità di accedere alla diagnostica e alle terapie?

Perché questi ambiti altamente specialistici negli anni si sono sviluppati tutti all’interno degli ospedali e quindi, durante la pandemia, la difficoltà di creare dei percorsi separati da quelli covid ha costretto gli ospedali a chiudere gli ambulatori. Questo problema non lo avremmo avuto se si fosse realizzato ciò che stiamo chiedendo da anni: gli ambiti specialistici ambulatoriali devono essere portati fuori dagli ospedali, devono stare all’interno delle case della salute o, al più, negli ospedali di comunità. Insomma, devono stare sul territorio, strettamente collegati con i medici di medicina generale, nello stesso luogo in ambiti multi professionali. Se tutto è concentrato negli ospedali non ce la si fa a mantenere le prestazioni non covid.

In questi mesi sono aumentati i posti di terapia intensiva e sub intensiva. Per farli “funzionare” servono molti medici ed infermieri. Qual è la situazione del personale?

E’ la diretta conseguenza di ciò che è accaduto dal 2008 in poi. Tagli e soprattutto blocco del turn over e imposizione del tetto di spesa sul personale, fissato a quello del 2004 meno l'1,4%, e rimasto in vigore fino allo scorso anno. Un taglio drammatico di medici, infermieri, operatori socio sanitari, tecnici. Risultato? Già prima della pandemia mancavano circa 60 mila operatori. Questa situazione non ha generato soltanto che il personale destinato ai reparti covid lascia sguarniti gli altri reparti. Il personale che c’è non basta nemmeno per i reparti covid e non basta il personale per la presa in carico sul territorio dei pazienti positivi. I medici di medicina generale sono pochi e sono poche le Usca che si sono attivate (Unità speciali di continuità assistenziale, istituite con il decreto del 9 marzo scorso, dovrebbero essercene una ogni 50mila abitanti n.d.r.) perché non c’è il personale. Quel piccolo esercito di 30 mila persone reclutate grazie al Decreto di inizio marzo, tutti contratti precari, non basta nemmeno a coprire le esigenze vere del covid, figuriamoci il resto. Servono immediate assunzioni per coprire le esigenze di tutti i servizi.

Ma il personale da assumere c’è?

Non a sufficienza e questo rende ancora più drammatica la situazione. Non abbiamo personale a sufficienza da assumere per i gravissimi errori che sono stati compiuti sulla programmazione della formazione. Sarà difficile trovare infermieri e infermiere in ogni territorio, ma il vero problema riguarda i medici, perché, rispetto a un fabbisogno di 9 mila specialisti, ogni anno hanno mantenuto le borse di specializzazione bloccate a 6400, cioè ogni anno si sono specializzati 2600 medici in meno di quelli che servono. Sono 15 anni che va avanti così e oggi si sono finalmente resi conto di quello che noi denunciavamo: non ci sono specialisti per i reparti ospedalieri e gli ambulatori territoriali. È un dramma reale, anche aumentando le borse, e quest’anno è stato fatto, anche se in maniera non sufficiente. Ci sarà bisogno di 5 anni per riuscire a formare gli specialisti sufficienti a coprire i vuoti. Oggi bisogna chiedere agli specializzandi del IV e V anno di sacrificare una parte della formazione per andare in prima linea. Errori gravissimi commessi negli anni scorsi, in maniera deliberata, sacrificando la sanità pubblica a vantaggio di quella privata. In ogni caso ora si devono assumere, ad esempio, i medici neo laureati da impegnare nei servizi di prevenzione e di epidemiologia, nelle Usca, per fare i tamponi. Bisogna estendere l’esercito prezioso messo in campo per l’emergenza covid in modo da alleggerire il lavoro degli strutturati specialisti che devono assicurare la salute su tutti gli altri ambiti.

Dicevi che quest’anno sono aumentate le borse per gli specializzandi, qual è la situazione del reclutamento?

Quest’anno, se è possibile, si è creata una situazione ancora più assurda, direi irresponsabile da parte del ministero dell’Università e Ricerca. Dopo aver effettuato un concorso per ammissione alle scuole di specializzazione per 13.600 posti cui hanno partecipato 23 mila persone, hanno deciso di sospendere la graduatoria perché, avendo lo stesso ministero sbagliato la stesura del bando, ci sono stati numerosi ricorsi e quindi in autotuela il ministero ha deciso di non pubblicarla. Un assurdo. Proprio venerdì scorso il Consiglio di Stato ha dato ragione a chi ha fatto ricorso. Il ministero avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di dire ho sbagliato, pubblico la graduatoria e poi ammetto chi dovesse vincere i ricorsi aumentando il numero dei posti. Il primo novembre ci sarà l’immatricolazione degli specializzandi, la graduatoria non è ancora stata pubblicata e gli specializzandi non sanno ancora dove dovranno andare e cosa succederà di loro. Sempre che la graduatoria venga resa pubblica in tempo. Un danno a chi ha partecipato al concorso, alle loro famiglie, alle scuole di specializzazione. E soprattutto uno smacco in questa situazione di emergenza

Infine i medici di medicina generale, quelli che dovrebbero essere il punto di riferimento di ciascuno di noi. Quanti sono, quanti ne mancano e come dovrebbero essere inseriti nella riorganizzazione dei servizi di territorio

I medici di medicina generale che comprendono i medici per le cure primarie, cioè quelli che una volta si chiamavano di famiglia, quelli della continuità assistenziale o le guardie mediche e i pediatri di libera scelta, sono circa 55 mila. Ne mancano all’appello almeno 20 mila. Ma il problema vero è che è completamente sbagliata l’organizzazione della medicina generale a partire dal rapporto di lavoro. Ricordiamo, è un rapporto di lavoro libero professionale in convenzione con il Ssn e quindi non garantisce la necessaria integrazione con il Servizio Sanitario Nazionale. Bisogna prima di tutto rivedere il rapporto di lavoro, ma soprattutto è necessario rivedere quella assurda organizzazione che prevede di affidare a degli studi privati, perché questo sono gli studi dei medici di medicina generale, le cure primarie delle persone. Abbiamo bisogno di creare quelle strutture identificate dalla riforma Turco nelle case della salute che però in molte regioni non sono mai state realizzate, luoghi nei quali i professionisti lavorino tutti quanti insieme e tutti all’interno dello stesso perimetro contrattuale. La carenza non è solo quantitativa ma qualitativa. Sono i medici di medicina generale a chiedere la dipendenza dal Ssn, diritti e contratto di lavoro che adesso non hanno, chiedono di essere integrati in tutti i servizi per essere meno abbandonati a loro stessi, motivo per il quale in questi mesi ne sono morti troppi. Sono morti perché appunto soli, non gli sono stati forniti nemmeno i dispositivi di protezione individuale, la maggior parte delle regioni sostenevano che dovessero comprarseli da soli perché liberi professionisti. Tutto ciò equivale alla disintegrazione del sistema non garantisce sicurezza né ai cittadini né ai lavoratori. Dobbiamo rivedere questo sistema e per farlo occorre abbandonare le logiche corporative.