E così siamo arrivati all’ultimo giorno. Scade infatti oggi (venerdì 22 marzo) la cassa integrazione in Alitalia, e sempre oggi azienda e sindacati si riuniscono a Roma (appuntamento alle ore 10 presso il ministero del Lavoro) per trovare un accordo. La compagnia aerea sollecita una nuova tornata di cigs, prorogando quella attuale per altri sei mesi, quindi fino al 23 settembre prossimo. Ma il numero dei dipendenti coinvolti è molto alto: la proposta aziendale riguarda una platea di 1.010 persone, di cui 70 assistenti di volo, 90 comandanti e ben 850 addetti di terra. Un numero troppo alto per Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, che ne chiedono una consistente riduzione. Ma sul tavolo di confronto non c’è solo la cassa integrazione: i sindacati reclamano con forza quel “piano industriale” promesso da mesi, che dovrebbe rilanciare la società. E confermano lo sciopero generale del trasporto aereo indetto per lunedì 25 marzo,

I due vertici plenari tenutisi fin qui (il 6 e il 18 marzo), cui si sommano anche alcuni incontri “tecnici” che si sono svolti la settimana scorsa, non hanno portato ad alcuna intesa. Anzi, le parti sono rimaste molto distanti. “Esprimiamo preoccupazione – hanno affermato i sindacati al termine dell’incontro del 18 marzo scorso – perché venerdì (oggi, ndr) è l'ultimo giorno per un accordo, e c'è la necessità di abbassare i numeri della cassa integrazione. Rinnoviamo, inoltre, la richiesta per un nuovo incontro al ministero dello Sviluppo economico sul piano industriale che le Ferrovie stanno mettendo a punto per Alitalia”. Il segretario nazionale della Filt Cgil Fabrizio Cuscito ha evidenziato che “l'unico settore dove diminuisce la richiesta, rispetto alla precedente cassa, è quello che riguarda gli assistenti di volo, che però come i piloti sono ormai ‘spremuti’ in termini di produttività. Aumentano invece i numeri tra il personale di terra, anche alla luce di 255 persone in meno nell'organico, e sono confermati i numeri tra i comandanti”. Per Cuscito la situazione della trattativa Alitalia “appare più complicata di quello che ci vogliono far credere. Chiediamo elementi di novità, che finora non ci hanno dato, soprattutto devono esserci sviluppo per la nuova compagnia, zero esuberi e nessun taglio contrattuale”.

Se la cassa integrazione è il problema più urgente, il piano industriale di Alitalia è la grande questione ancora irrisolta. Una questione che si è complicata ulteriormente, a causa del ritiro di Easyjet dalla possibile nuova compagine dell’azienda. “A seguito delle conversazioni con Ferrovie dello Stato e Delta Airlines per la creazione di un consorzio che valutasse le opzioni per le future operazioni di Alitalia, abbiamo deciso di ritirarci dal processo”: così lunedì 18 marzo la compagnia britannica ha comunicato il suo abbandono. Una posizione ribadita il giorno seguente da Lorenzo Lagorio, country manager per l’Italia: “Abbiamo sempre detto che un accordo si sarebbe raggiunto se fosse stato operativamente, commercialmente e strategicamente fattibile. Purtroppo, nonostante tutti gli sforzi, non siamo riusciti a trovare un accordo che soddisfacesse queste condizioni”.

La situazione attuale, dunque, vede l’impegno di Ferrovie dello Stato, con una quota che sarà al massimo del 30 per cento. “Riteniamo che Alitalia possa essere un’opportunità. Ci sono grandi aspettative, ma aspettiamo di finire gli incontri che stiamo portando avanti con gli operatori”, ha dichiarato mercoledì 20 marzo l'amministratore delegato Gianfranco Battisti, asserendo di credere “in un’operazione industriale per intercettare tutti i flussi di traffico”. Riguardo alla presentazione del piano industriale, fortemente richiesto dai sindacati e promesso per il 31 marzo prossimo, Battisti ha affermato che “qualche giorno di slittamento è possibile, ma sicuramente prima di Pasqua lo presenteremo”.

Accanto a Ferrovie, con il ritiro di Easyjet, è rimasta solo Delta Airlines. Nei giorni scorsi, durante un incontro con i vertici di Fs, la compagnia statunitense ha ribadito la propria partecipazione. “Continuiamo a esplorare – si legge in una breve nota firmata dal chief executive officer Ed Bastian – modalità di lavoro con Ferrovie dello Stato e a mantenere la nostra partnership con Alitalia in futuro. Le discussioni rimangono in corso, essendo Alitalia un partner di Delta da lungo tempo”. La quota dell’aviolinea di Atlanta è per ora del 10 per cento, con un impegno di circa 100 milioni di euro, ma Ferrovie starebbe lavorando, assieme all’advisor Mediobanca, per cercare di raddoppiare nel medio termine la partecipazione.

Al capitale azionario della nuova compagnia parteciperà anche il ministero dell’Economia, cui spetterà il 15 per cento con la conversione del prestito ponte concesso ad Alitalia. Ma tanta parte del capitale resta da coprire. L’amministratore delegato di Ryanair, Michael O Leary, ha nuovamente confermato di non voler investire in Alitalia, e nuovi partner internazionali per ora non si vedono. Il resto, dunque, dovrebbe ricadere su capitali pubblici e sulle aziende a partecipazione statale. Ma anche qui la situazione è poco confortante: Leonardo (ex Finmeccanica) si è sfilata da tempo, Poste Italiane (per bocca del suo ad Matteo Del Fante) ha annunciato il 19 marzo che “non c’è alcun progetto di aprire un dossier specifico su Alitalia”. Fincantieri potrebbe prendere una quota, mentre Cassa depositi e prestiti si è detta disponibile solo per l'acquisto di nuovi velivoli. Intanto il tempo passa, la compagnia è commissariata da due anni e l’ottimismo sbandierato dal governo non trova per ora alcuna giustificazione.

Sullo sfondo, infine, resta lo stop nazionale di quattro ore di lunedì 25 marzo, indetto da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl trasporto aereo, che coinvolgerà, a eccezione dei controllori di volo, tutti gli addetti del settore (piloti e assistenti di volo, tecnici della manutenzione e personale di terra delle compagnie aeree, addetti all’handling, al catering e alle gestioni aeroportuali). “Alla base dello sciopero – spiegano i sindacati – c’è la situazione Alitalia, il cui esito non è affatto scontato, con circa 1.500 addetti ancora in cassa integrazione e la mancanza di un riscontro su alcune criticità gestionali e altre legate al costo del lavoro”. Le organizzazioni denunciano anche “la mancanza di certezze e di risorse adeguate al Fondo di solidarietà del settore, che ha permesso di gestire le crisi passate e che deve servire per accompagnare quelle in atto, causate dalla mancanza di regole che sta determinando crisi aziendali in tutti i comparti, mettendone a rischio l’occupazione”. Filt, Fit, Uiltrasporti e Ugl rimarcano pure la “mancanza di una concreta legislazione nazionale per il sostegno del trasporto aereo, che contrasti il dumping contrattuale e che preveda l’applicazione del contratto di settore e di regole chiare a salvaguardia dell'occupazione e dei salari”.