Da quando ristoranti, alberghi e bar hanno riaperto si susseguono lamentele, quasi appelli accorati, di imprenditori del settore: “non troviamo gente disponibile a lavorare, preferiscono il reddito di cittadinanza”. Falso! Davvero un racconto falso e autoassolutorio della realtà. Autoassolutorio, perché secondo i dati forniti dall’Ispettorato nazionale del lavoro, nei comparti della ristorazione e dell’alloggio tassi di irregolarità sono superiori al 70%. Il turismo è il settore dove si concentra il numero maggiore di violazioni. Quindi, per parlar chiaro, gli imprenditori del settore non cercano uomini e donne da assumere con orario e paga da contratto, versando i contributi regolarmente, così che a fine stagione maturino i requisiti per accedere agli ammortizzatori sociali. No, cercano uomini e donne da far lavorare quasi senza orario, con paghe sotto soglia di povertà o quasi, e spesso totalmente in nero. Non solo, a tutto questo si somma ora anche lo stigma sociale del “fannullone” rappresentato ad arte da chi vorrebbe poter trovare lavoranti senza dover sottostare a vincoli e contratti.

Tutto ciò è intollerabile. Lo denuncia con forza la Filcams, la categoria della Cgil che rappresenta lavoratori e lavoratrici del turismo e del terziario: “La falsa narrazione dei lavoratori del turismo che preferiscono il reddito di cittadinanza ad un lavoro è una strumentalizzazione che colpisce chi più sta subendo gli effetti della crisi. Oltre al danno, la beffa”.

"Desolanti e al tempo stesso sorprendenti le dichiarazioni di imprenditori ed associazioni datoriali, diffuse negli ultimi giorni dagli organi di informazione, che hanno avviato una sorta di dibattito rispetto ad una presunta indisponibilità, nel contesto delle riaperture, a tornare al lavoro da parte dei lavoratori del turismo". Secondo la Filcams, sono in realtà centinaia di migliaia i lavoratori della filiera turistica e della cultura che, a causa della crisi senza precedenti del settore, si ritrovano senza occupazione da più di un anno. Nella migliore delle ipotesi, sono in ammortizzatore ininterrottamente dall’inizio della pandemia. Sono camerieri, baristi, receptionist, custodi, cameriere ai piani, cuochi, ai quali, oggi come nel turismo della pre-pandemia, vengono imposte forme di lavoro irregolari o in nero, e condizioni di lavoro insostenibili. Sia in termini salariali, di diritti e tutele che sul versante della salute e della sicurezza. Sono all’ordine del giorno turni di lavoro più lunghi rispetto a quanto attestato in busta paga, anche il doppio rispetto alle ore dichiarate, ferie non pagate, riposi non concessi. E così via.

“Dichiarazioni che rasentano la provocazione”, dichiara Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams, “che coinvolgono lavoratori costretti dalle imprese ad una condizione di precarietà ormai strutturale - stagionali, somministrati, in appalto, a chiamata, a tempo determinato, terziarizzati -, stremati dalla crisi e che oggi vengono, nei fatti, accusati di non aver voglia di lavorare”.

“Un discussione cha banalizza una situazione già di per sé drammatica e che riguarda la vita di milioni di persone”, continua Russo, “il tema non è se i lavoratori del turismo privilegino il reddito di cittadinanza al lavoro, piuttosto determinare le condizioni per garantire finalmente un’occupazione regolare, stabile e dignitosa per quegli stessi lavoratori che ne sono stati privati per troppo tempo”.

“Per quanto ci riguarda”, conclude il segretario, “in una situazione che per il settore continua ad essere di forte difficoltà, un nuovo modello di turismo, inclusivo e sostenibile, può essere definito soltanto salvaguardando occupazione e professionalità e quindi, in primo luogo, attraverso un’ulteriore proroga degli ammortizzatori in deroga e del blocco dei licenziamenti. Sono questi i presupposti per consentire la ripresa delle imprese “virtuose” della filiera, che operano in un regime di legalità, non applicano Contratti Nazionali “irregolari” e che, peraltro, non ci risulta abbiano problemi di sorta in termini di assunzioni.”

All’inizio della pandemia era affermazione diffusa sostenere che nulla sarebbe stato più come prima, che il coronavirus avrebbe imposto a tutti di ripensare modello di sviluppo e consuetudini. Sarebbe il caso che davvero il valore della persona, il valore di lavoratori e delle lavoratrici non venisse vilipeso con false rappresentazioni e, invece, la dignità della persona e la dignità del lavoro tornassero al centro delle relazioni tra impresa e dipendenti.