Cosa prova la madre di un ragazzo ucciso in fabbrica (o sua moglie, o una figlia) mentre l’avvocato difensore, nell’aula di un tribunale, cerca (ovviamente com’è suo dovere, e diritto del suo assistito) di smontare pezzo a pezzo ogni accusa mossa dal Pm ai responsabili dell’azienda? Non solo dolore. Non solo lo straziante dejà vu di una morte che torna a compiersi in ogni dettaglio, sbobinata secondo dopo secondo, minuto dopo minuto. Vivisezionata, decostruita e ricostruita per il giudizio dei giudici. Non solo questo, che è comunque tanto, forse troppo per un essere umano. Prova anche paura. E teme che il peggio debba ancora arrivare.

Il peggio, in un processo del genere, è che se l’azienda e i suoi responsabili ne escono scagionati, o con addebiti non troppo gravi, bisognerà trovarne altri, di colpevoli. Perché è difficile che un processo si chiuda senza l’attribuzione di una colpa. E qual è il colpevole più facile da trovare? Non è forse quello che non può più difendersi? E che stava lì quando i fatti avvennero? E questi fatti tragici (insinuerà qualcuno) l’ipotetico colpevole li ha solo subìti o non li avrà anche un po’ agiti, innescando le cause della propria sciagura?

Che le vittime divengano i colpevoli: ecco la paura dei familiari. Questa giornata (27 ottobre 2008) del processo per la strage alla Thyssen la testimonia. L’avvocato difensore Ezio Audisio patrocinava l'amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, e insisteva (come hanno riportato le agenzie) che "non c'è stata nessuna forma di dolo”, e che “le condotte contestate dai Pm non sono assolutamente dimostrate". Per poi aggiungere: “Lo sviluppo dell'incidente è collocabile in un tempo ristretto di 17 minuti. Bisognerà scoprire, in quei 17 minuti, chi ha fatto cosa".

La svolta dialettica, l’ipotesi sulla correità delle vittime, sta tutta in quest’ultima frase. Che deve aver gelato Elena Schiavone, madre di Antonio morto nel rogo, inducendola a protestare coi giornalisti: “Vogliono far ricadere la colpa di quel che è successo sui nostri figli, ma non è stato un incidente: i nostri figli sono stati assassinati".

Il processo Thyssen sarà lungo e tormentato. E può succedere di tutto. Anche che le vittime cambino ruolo all’improvviso, diventando assassine di sé stesse.