Studiare e al contempo lavorare è spesso una necessità in Italia. Nell’83 per cento per casi serve al giovane per sostenere i costi dello studio, nell’82 per cento per provvedere a sé stesso in mancanza di un supporto economico familiare. Ma c’è anche chi vuole mettere soldi da parte e rendersi indipendente dalla famiglia.

È quanto emerge dall’indagine promossa da Udu, Unione degli universitari e Cgil e realizzata dalla Fondazione Di Vittorio con la somministrazione di quasi 13 mila questionari distribuiti on line tra ottobre 2023 e gennaio 2024 e presentata oggi alla Camera dei deputati.

365 mila studenti lavoratori

Obiettivo dell’analisi: capire meglio le condizioni dei 365 mila studenti lavoratori, che rappresentano il 17 per cento degli iscritti all’università. Di questi, 242 mila sono under 30, pari al 13 per cento degli universitari di pari età.

“Lavorare non è una scelta libera ma nella gran parte dei casi è obbligata, per fare fronte alle difficoltà economiche e alle carenze del diritto allo studio – denuncia Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu –. L’impatto di questa scelta sulla vita accademica è terribile. I principali problemi lamentati sono legati alla socializzazione. Il 65 per cento di chi ha partecipato all’indagine afferma che socializzare con i colleghi risulta impossibile o comunque molto difficile. Va ancora peggio sul fronte della partecipazione alle associazioni studentesche, difficile per l’83 per cento del campione”.

Finire fuori corso

I limiti che l’indagine ha rilevato sono anche altri: il 61 per cento segnala seri problemi a frequentare le lezioni, il 56 per cento a sostenere regolarmente gli esami, il 54 per cento a prepararsi per gli esami. Non stupisce perciò che la metà degli studenti lavoratori pensi di finire fuori corso.

Ma non basta. Nella maggior parte dei casi gli studenti che lavorano svolgono attività in condizioni di precarietà. Solamente il 57,7 per cento dichiara che è rispettato del tutto il contratto collettivo, mentre per la restante quota è applicato solo in parte (22,7 per cento) o per nulla (6 per cento). Una maggiore applicazione del contratto si rileva per i tempi indeterminati, i determinati, quelli in apprendistato, mentre elementi molto più critici emergono per chi lavora nelle altre forme contrattuali a termine, oltre che per chi svolge lavoro a nero e senza contratto.

Precarietà e sfruttamento

“È necessario un deciso cambio di passo e riteniamo che sia urgente un intervento normativo che elimini le forme di lavoro più precarie e caratterizzate da bassi salari - afferma la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione -. Per questo abbiamo promosso la campagna referendaria, che ci vede impegnati in queste settimane nella raccolta firme”.

Secondo l’indagine, il 65 per cento degli studenti lavoratori ritiene che la professione svolta non preveda particolari possibilità di carriera, il 38 lamenta carichi e ritmi di lavoro inadeguati, il 37 una retribuzione bassa. In particolare, sono gli studenti più giovani ad avere le condizioni peggiori.

“Esiste un grosso problema salariale - prosegue Ghiglione -. Gli under 25 prendono, nella maggior parte dei casi, una retribuzione netta inferiore ai 750 euro mensili. E questo per dinamiche di sfruttamento. Infatti il 46 per cento degli studenti universitari occupati vive una condizione di disagio lavorativo perché costretto a lavorare con un contratto a termine oppure a tempo parziale”.

Impatto psicologico

Dati confermati dall’Istat, secondo cui è il 46 per cento a vivere la condizione di disagio, associata all’orizzonte temporaneo limitato del rapporto di lavoro e dal tempo di lavoro ridotto (part time involontario). Una situazione che ha un impatto molto negativo a livello psicologico: “Il 78 per cento del campione lamenta stress, il 64 per cento ansia, il 34 insonnia – aggiunge Piredda -. Addirittura il 20 per cento ha sofferto di depressione, il 13 di disturbi alimentari, il 4 di abuso di sostanze. Sono numeri preoccupanti”.

Garantire il diritto allo studio

Secondo Udu, Cgil e Fondazione Di Vittorio, occorre innanzitutto intervenire sul diritto allo studio, rafforzando borse di studio, alloggi e mense, oltre a limitare il ricorso ai contratti a termine e intensificare i controlli per eliminare i rapporti in nero e le forme di elusione dalla normativa lavoristica e dai contratti collettivi. Sul fronte accademico, oltre nove studenti su dieci chiedono a gran voce materiali di supporto per lo studio, aumento delle sessioni di esami e laurea, registrazione delle lezioni.

Nella direzione della tutela di tutti i lavoratori vanno i quattro quesiti referendari proposti dalla Cgil e supportati dall’Udu, recentemente depositati in Corte di Cassazione. “Vogliamo affermare un principio che deve valere per tutti, a prescindere dai settori e dalle ragioni per cui si lavora – conclude la segretaria Ghiglione -: non deve esistere un lavoro sfruttato, non deve esserci lavoro che non sia accompagnato da sicurezza, salario giusto e dignità”.