“La tragedia della Lamina ebbe un impatto mediatico rilevante e fece scoprire che anche nella Milano produttiva, la città del futuro che guarda all’Europa, si lavora ancora come nel secolo scorso”. A dirlo, davanti ai cancelli della fabbrica in via Rho, è Roberta Turi, segretario generale della Fiom di Milano, ai microfoni di RadioArticolo1 nello speciale “Il lavoro che uccide”. “Quattro lavoratori, nel 2018, sono morti soffocati come topi in un forno – continua –. Sembra incredibile, ma ancora una volta secondo l'indagine la responsabilità è a carico dell’azienda, che non aveva valutato correttamente i rischi di un gas, l’argon, che si è dimostrato letale”. 

Per questo la Fiom Milano si costituirà parte civile nel processo in corso. Ma è evidente che il problema è più diffuso: “Il 2018 è iniziato con la tragedia della Lamina, e si è concluso con un 10% di morti sul lavoro in più. Sono stati oltre 50 in provincia di Milano, e oltre 1.000 in Italia, 3 al giorno”. Nonostante questo, fa notare la Turi, il governo va in direzione opposta: “Invece di mettere in campo nuovi investimenti sulla sicurezza, nella manovra è entrato un provvedimento che taglia i premi che le aziende pagano all’Inail. Questo produrrà un impatto negativo, perché si traduce in meno soldi che erano dedicati alla formazione in materia di salute e sicurezza. Senza contare il precariato dilagante che peggiora la situazione. Anche per questo il 9 febbraio scenderemo in piazza con Cgil, Cisl e Uil contro la legge di bilancio”. 

La strage della Lamina, però, non ha cambiato la vita solo alle famiglie delle vittime, ma anche a chi è sopravvissuto. “Due degli operai che ancora lavorano in azienda – racconta il segretario della Fiom milanese – hanno rischiato di morire per salvare i loro colleghi e sono ancora sconvolti. Per questo abbiamo raccolto le loro testimonianze in un documentario che presenteremo il 31 gennaio in una grande assemblea dei metalmeccanici che abbiamo voluto intitolare ‘Mai più’. Perché tragedie come questa devono essere un monito, per farci reagire con maggior coraggio”. “Con la consapevolezza – ripete Turi – che il più grande ostacolo su questo tema è proprio l’atteggiamento delle imprese, che continuano a vedere la sicurezza dei lavoratori solo come un costo”.

A parlare è poi Pasquale Arcamone, lavoratore della Lamina che era in servizio nel giorno della tragedia, un anno fa, dove persero la vita quattro lavoratori. “Tutti i giorni i nostri pensieri vanno ai colleghi che non ci sono più – dice –. Lo ricordo bene perché quel giorno ero di turno in azienda. Dopo la tragedia – poi – è stato un anno pieno di solidarietà tra noi, ci siamo aiutati l'uno con l'altro e siamo riusciti ad andare avanti migliorandoci a vicenda, sia dal lato lavorativo sia da quello umano. In azienda già eravamo una famiglia, dopo la strage è aumentata la solidarietà tra di noi, le persone si sono unite ulteriormente. Anche la sicurezza è aumentata, si vigila con maggiore attenzione. Da parte dell'impresa, comunque, c'è stata vicinanza e trasparenza dopo ciò che avvenuto”.

L'anno scorso è stato drammatico per gli incidenti sul lavoro, conferma Carlo Soricelli, curatore dell’Osservatorio indipendente sui morti sul lavoro, con un aumento del 10% di vittime rispetto al 2017. Senza contare i morti in itinere. Il settore più colpito è quello dell’agricoltura: “L’anno scorso si sono registrate 139 persone schiacciate da un trattore. L’agricoltura contribuisce per il 33% sui dati globali”. A seguire c’è l’edilizia, l’autotrasporto e l’industria. “L’industria – continua Soricelli – registra percentualmente dati inferiori, anche se restano molti gli incidenti. Perché il sindacato nelle grandi aziende è più presente e fa azione di contrasto”. Il problema resta con i lavoratori in appalto, “figli di un dio minore, meno tutelati”. “Pochi giorni fa – conclude –, a Taranto, è morto un lavoratore in appalto, che si è schiantato contro un albero mentre tornava a casa dopo 12 ore consecutive di turno. È stato ritrovato da un passante alle 4 di mattina”.

“Il 2018 è stato caratterizzato da una lieve ripresa economica, ma oggi c'è un rischio nuovo di recessione. In coincidenza con la ripresa sono però ripartiti gli infortuni”. Così il segretario confederale della Cgil, Franco Martini. “In altre parole – spiega – la ripresa non è stata colta come occasione per introdurre all'interno del sistema produttivo la necessaria innovazione. C'è stato invece il tentativo di agganciarsi a un ipotetico rilancio proponendo i vecchi modelli produttivi. Basti pensare che la tipologia degli infortuni mortali è lo stesso di cinquanta anni fa, per esempio cadute dall'alto in edilizia e ribaltamento di trattori di agricoltura. In mezzo secolo non è cambiato niente”. La parziale ripresa, insomma, “non è stata sfruttata dall'economia per cambiare modello di lavoro”.

Quindi un passaggio sulla legge di bilancio, che su questo tema procede all'indietro: “La revisione dei premi delle aziende, presente nella manovra del governo, non compensa l'intervento per le imprese con uno analogo a favore delle prestazioni e soprattutto della ricerca, un aspetto fondamentale che è attualmente trascurato. Gli infortuni sono anche malattie professionali – a suo avviso –, in tal senso il governo continua ad intervenire in una direzione unica, manca tutto il resto. Si tratta di una misura squilibrata, oggi ci sono troppe malattie professionali che non hanno ancora il dovuto riconoscimento”.

(a cura di Emanuele Di Nicola e Carlo Ruggiero)