PHOTO
In Italia, da tempo ormai si discute della situazione dei rider. Un anno fa Foodora decise di lasciare a piedi i propri fattorini per prenderne di nuovi con prestazione occasionale e paga a cottimo, seguendo il modello di deregolamentazione di altre piattaforme. All’inizio della scorsa estate, il governo Lega-5 stelle ha cercato di dare un po' di stabilità e di diritti ai riders, attraverso un decreto che più volte la Cgil ha definito insufficiente. Nelle scorse settimane, poi, la procura di Milano ha avviato un'indagine nei confronti delle piattaforme di consegna del cibo a domicilio per caporalato. Intanto, nel nostro Paese, a fronte di una diminuzione della disoccupazione si registra un aumento di quel lavoro povero, precario, instabile, di cui i ciclofattorini sono l’esempio più eclatante. “La denuncia che l’ex ministro del lavoro Di Maio fece appena assunto l'incarico era opportuna, e lo è tutt’ora. Perché i rider sono un esempio di un fenomeno molto più grande, che è il lavoro nella cosiddetta gig economy”. A dirlo, ai microfoni di RadioArticolo1, è Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil.
“Il lavoro di consegna dei rider – continua Scacchetti – ha tutte le caratteristiche della discontinuità, e dovrebbe essere accompagnato da un sistema di diritti e di tutele che dia maggiore dignità, ma anche maggiore sicurezza, oltre che riconoscibilità di tipo sociale. Paradossalmente, pur in presenza di un decreto, nel nostro Paese la situazione è peggiorata e non migliorata. Proprio perché la volontà legislativa si è mossa nella direzione opposta rispetto a quella che veniva proposta, almeno a parole, quando è stato varato quel testo”.
In Italia, infatti, diminuiscono i contratti di collaborazione, “che sono la forma più tutelante in questo ambito di lavoro, in cui la subordinazione è riservata a pochissimi ed è utilizzata da pochissime imprese”. Al contrario, “aumenta in maniera esponenziale il ricorso al lavoro autonomo del tutto occasionale, quello che fino a 5 mila euro non porta con sé nessun diritto aggiuntivo rispetto al compenso”.
Per Scacchetti, siamo ormai “in un ritardo quasi imbarazzante”, perché la discussione politica su questi temi “avrebbe meritato altri esiti”. Il tema, però, è “davvero ineludibile”. Per il legislatore, “che forse può migliorare le norme contenute in quel decreto”, ma soprattutto “per la contrattazione, oltre che per la responsabilità sociale d'impresa, il cui modello di sviluppo mostra evidenti limiti di tenuta”.
È ciò che sta succedendo a Firenze, dove, come ha denunciato il Nidil, i lavoratori di just eat perderanno il regime da collaboratori e potranno lavorare soltanto con la prestazione occasionale. “Secondo le indagini che sono in corso a Milano – continua la segretaria confederale della Cgil –, si tratta di caporalato, di una degenerazione dell'incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Questo è uno dei possibili rischi di fronte alla totale mancanza di controllo in queste forme di lavoro. Naturalmente, a quelle indagini, tutte le imprese, anche le multinazionali, hanno reagito impegnandosi nel mettere a disposizione i propri dati ed evitare che si determinano questi fenomeni”.
In realtà, però, in un settore così frammentato, non è difficile che “l’account di un soggetto possa essere venduto a un altro, magari immigrato non regolare e quindi privo del permesso di soggiorno”, e quindi crearsi “un meccanismo che degenera nell'illegalità pura”. È ciò che stanno verificando i giudici di Milano, ma è quello che “potenzialmente potrebbe accadere e accade molto spesso”.
Anche per questo 500 rider hanno firmato una lettera che esprime un giudizio negativo di fronte al decreto, perché le regole inserite rischiano di far abbassare il compenso, e quindi il reddito dei lavoratori. Quella lettera, conclude Scacchetti, “rende evidente un conflitto anche dentro la popolazione lavorativa. Ma noi continuiamo a rivendicare un contratto di natura subordinata per le caratteristiche di questo lavoro. Ci devono essere tutele e diritti, che non possono essere elusi dalle norme molto diseguali fra la natura subordinata del lavoro e il riconoscimento del lavoro autonomo che ci sono ora”.