Dal 27 al 30 settembre del 1943, i napoletani insorgono e, grazie al loro coraggio, cacciano via i soldati del Reich. Sarà la prima, tra le grandi città europee, a sollevarsi, e con successo, contro l’occupazione tedesca. “Dopo Napoli la parola d’ordine dell’insurrezione finale acquistò un senso e un valore e fu allora la direttiva di marcia per la parte più audace della Resistenza italiana”, dirà dell’episodio Luigi Longo.

Il 12 settembre precedente il colonnello Walter Scholl, assunto il comando delle forze armate occupanti in città, aveva proclamato il coprifuoco e lo stato d’assedio della città con l’ordine di passare per le armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso. 

Decretava un altro proclama apparso sui muri della città la mattina di lunedì 13 settembre:

1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell'autore verranno distrutti e ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.
4. Esiste lo stato d'assedio.
5. Entro ventiquattro ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un'arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche.
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.

Il 23 settembre, una nuova misura repressiva prevederà lo sgombero di tutta la fascia costiera cittadina sino a una distanza di 300 metri dal mare. Quasi contemporaneamente, un manifesto del prefetto intimerà la chiamata al servizio di lavoro obbligatorio di tutti i maschi di età compresa fra i diciotto e i trentatré anni, una deportazione forzata - di fatto - nei campi di lavoro in Germania. L’insurrezione popolare sarà a questo punto inevitabile e dopo quattro giorni di eroica resistenza le truppe tedesche lasceranno  la città.

Il bilancio degli scontri non è concorde nelle cifre; secondo alcuni autori morirono 168 militari e partigiani e 159 cittadini; secondo la Commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano le vittime furono 155, ma dai registri del Cimitero di Poggioreale risulterebbero 562 morti. Napoli celebra oggi (30 settembre) il settantasettesimo anniversario delle Quattro Giornate con una serie di eventi culturali e all’insegna della memoria. Tra le iniziative più attese la consegna di una medaglia (in collegamento streaming) da parte del Comune e del presidente dell’Anpi ad Alessandro Orsetti, papà di Lorenzo, partigiano morto combattendo per la causa curda.

“Abbiamo scelto di dedicare il settantasettesimo anniversario delle Quattro giornate di Napoli - affermava qualche giorno fa l’assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli Eleonora de Majo - non solo alla consueta e necessaria celebrazione della liberazione della nostra città dall’oppressione nazifascista ma anche al riconoscimento delle resistenze contemporanee contro l’oscurantismo e i nuovi fascismi, che ancora oggi in tutto il mondo difendono la libertà e la democrazia. Lo faremo ricordando, tra queste resistenze, in particolare quella curda che da anni difende l’autonomia confederale democratica e femminista dalla violenza dell’Isis e dell’esercito turco”.

“Se state leggendo questo messaggio - scriveva del resto prima di morire "Orso" - è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, uguaglianza e libertà”. “Sono tempi difficili - proseguiva la lettera - lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza: mai! Neppure per un attimo. Anche quando tutto sembra perduto, e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni. E proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate sempre che ‘ogni tempesta inizia con una singola goccia’. Cercate di essere voi quella goccia”. Cerchiamo di essere noi quella goccia...